Patrick Zaki nel febbraio 2020 veniva arrestato all’aeroporto del Cairo dove, partito da Bologna, era atterrato per andare a trovare la famiglia per le vacanze. Attivista impegnato nella difesa dei diritti umani, all’epoca era uno studente di un master sulla parità di genere all’Università del capoluogo emiliano.
L’arresto era dovuto alla pubblicazione su un sito web di un articolo contro la persecuzione egiziana della minoranza cristiana copta alla quale lui stesso appartiene. Dopo 22 mesi passati in cella, è stato scarcerato a dicembre 2021, senza tuttavia essere assolto dalle accuse e senza possibilità di lasciare l’Egitto per tornare in Italia.
Dopo avere conseguito il 5 luglio scorso la laurea in collegamento remoto dall’Egitto, martedì è arrivata la condanna a 3 anni di carcere, senza possibilità di appello (avrebbe quindi dovuto scontare ancora 14 mesi di carcere). Solo un provvedimento di grazia da parte del presidente egiziano Al Sisi avrebbe potuto liberarlo, grazia presidenziale che è arrivata dopo due giorni. Patrick Zaki è così una persona libera.
Si tratta di un risultato atteso da anni e ottenuto dal lavoro diplomatico e politico degli ultimi due governi italiani, con un interlocutore difficile e fondamentale nella stabilità nel Mediterraneo (risultato riconosciuto anche dalle opposizioni, cosa sempre gradita). Non a caso il debutto internazionale dell’attuale premier Giorgia Meloni, dopo l’approdo a Palazzo Chigi, è stato proprio la visita in Egitto e la stretta di mano con Al Sisi. È stato il primo premier italiano in visita in Egitto da quando nel 2016 al Cairo fu trovato morto assassinato il giovane ricercatore italiano Giulio Regeni.
I rapporti, dunque, sono stati riallacciati e da allora è stato un susseguirsi di incontri e visite ufficiali per discutere di crisi alimentare, immigrazione, energia e lotta al terrorismo. Sicuramente il modo di agire del presidente egiziano deve fare riflettere: oggi ti condanno, domani ti do là grazia. Noi italiani ringraziamo, ma su Regeni dobbiamo andare avanti.
Non bisogna accettare assolutamente un ipotetico scambio tra la liberazione di Zaki e la rinuncia del governo italiano a insistere sulla consegna degli agenti dei servizi segreti egiziani, tuttora impuniti, che dovrebbero essere processati per l’accusa di avere assassinato Giulio Regeni. La politica e la diplomazia devono proseguire il loro lavoro di relazioni positive con le autorità egiziane per ottenere la verità su Regeni.
Ben vengano, inoltre, gli articoli, le manifestazioni, la mobilitazione degli attivisti e gli striscioni sulle facciate dei municipi. Il caso Zaki è stata la dimostrazione di come la pressione popolare e mediatica funzioni e contribuisca alla risoluzione di casi intricati e un po’ oscuri.
Concludo con l’arrivo di Zaki in Italia previsto per oggi. Il ricercatore ha deciso di non usufruire del volo di Stato messo a disposizione dal Governo italiano e di non volere incontrare né farsi fotografare con le autorità istituzionali del nostro paese una volta atterrato a Milano Malpensa. Andrà direttamente a Bologna dove probabilmente terrà una conferenza stampa all’Università.
I suoi no agli incontri con le istituzioni sono stati da lui definiti “un messaggio politico”. A mio avviso è una vera e propria idiozia. Se lo fai per motivi politici, non è il momento per fare politica. Se, da attivista, lo fai per esprimere la tua indipendenza da ogni colore politico, non è il momento di essere attivista. C’è poco da sventolare bandiere di militanza o appartenenza a un qualsivoglia pensiero. Qui si tratta di dare il giusto riconoscimento agli sforzi politici e diplomatici sostenuti dai governi italiani per toglierti dalla galera e farti trascorrere un futuro più sereno.
Sei venuto in Italia, ti facciamo studiare, ti leviamo dalla galera decisa dal tuo Paese, ti aspettiamo carichi di felicità, e fai lo splendido? Domani sei libero di fare quello che vuoi, candidarti o altro. Oggi no. Oggi sarebbe dovuto essere il giorno del ringraziamento, meglio se plateale.