Dopo la settimana presidenziale che ha portato al Mattarella-bis si è verificato un vero e proprio terremoto nei partiti.
La prova del Quirinale, incredibilmente sottovalutata alla vigilia (perché non si sono organizzati meglio i protagonisti più attesi?), ha fatto emergere i limiti, l’inadeguatezza, l’assenza di strategia politica e l’incapacità di mediazione di tutta la classe dirigente.
La conseguenza è stata un isterismo di quasi tutti i big dei partiti, vogliosi di affermare la propria leadership e di dimostrare che abbiamo a che fare con politici di razza. In realtà si tratta della paura di aver deluso, di perdere consensi e di non essere più riconosciuti nel ruolo ricoperto prima.
Nel centrodestra regna il caos. La coalizione non è riuscita a indicare un Capo dello Stato, si è spaccata e si è inimicata il premier a causa del veto posto alla sua elezione a Presidente della Repubblica. La Meloni ha annunciato di volere rifondare il centrodestra, Salvini ha invece rilanciato la proposta di creare una federazione di partiti, sul modello del Partito Repubblicano americano (partito della destra conservatrice con al sua interno diverse forze di destra).
Berlusconi e gli esponenti di spicco di Forza Italia si mostrano freddi con gli alleati della Lega e di Fratelli d’Italia e rivendicano la centralità del loro partito. In realtà è ancora da capire se Forza Italia resterà a destra o confluirà in un “terzo polo” di centro (su cui potrebbero convergere altre forze, da Renzi a Toti). In definitiva a destra è battaglia per diventare capi della coalizione. Non sarebbe più sensato creare una coalizione guidata da un leader legittimato dalle primarie?
Nel M5S non va meglio. Anzi è una polveriera. È in atto, infatti, un duro scontro tra Di Maio e Conte, col primo che parla di fallimento di alcune leadership. I media ci dicono che Di Maio avrebbe voluto Draghi al Quirinale mentre Conte avrebbe condiviso la proposta di Lega e Fdi di candidare una donna. Hanno perso entrambi, da qui la spaccatura totale tra i due. Cosa succederà? Di Maio tenterà di sfiduciare Conte? O scinderà il Movimento e sposerà anche lui l’idea di un possibile grande partito di centro che interesserà tutta l’area moderata?
Nel Pd non ci sono stati sconfitti, per il semplice fatto che si è esposto poco. L’esultanza esibita al momento dell’elezione di Mattarella ci può stare, ma non è testimonianza di un ruolo da Kingmaker. Si è tali quando si fa un nome che poi risulta vincente. Mattarella è sembrato invece il paracadute su cui hanno converso tutte le forze di maggioranza.
A mio avviso stiamo assistendo all’inizio di un film già visto. I parlamentari sono consapevoli di aver superato l’elezione del Capo dello Stato, l’ultimo vero grande rischio per una crisi di governo, è da questo momento potranno finalmente dedicarsi alla campagna elettorale per le elezioni del 2023, utilizzando il governo come terreno di battaglia.
Non sarà risparmiato nessuno, neanche Mario Draghi. Un po’ come successe a Mario Monti, tecnico anche lui, che inizialmente venne osannato da tutti i partiti (ricordo ancora quando il leghista Umberto Bossi si permise di avanzare una piccola critica, venne quasi sbranato), mentre successivamente, già a fine legislatura, diventò il responsabile di tutti i mali dell’Italia, come se le sue decisioni non fossero state avallate dai partiti che sostenevano quella maggioranza. Chi c’era in Parlamento?
Tra qualche settimana, quando penserò alle motivazioni espresse dai partiti nei giorni precedenti all’elezione di Mattarella mi verrà un po’ da sorridere assistendo alle polemiche roventi che contraddistingueranno quest’ultima fase della legislatura.
Si è detto: “Draghi è prezioso a Palazzo Chigi”, serve “continuità in questa fase così delicata per l’Italia”, “ci sono problemi urgenti da risolvere” ecc. A questo punto mi aspetterei tante discussioni pacifiche e costruttive, e che si farà di tutto per favorire l’azione di governo del premier Mario Draghi. Vedremo. Personalmente credo invece che ci saranno solo litigi e slogan ad effetto in vista delle prossime politiche, alla faccia dei problemi urgenti del Paese.
Draghi ne è consapevole e farà bene a tirare dritto concentrandosi sulle due vere priorità per cui è stato chiamato in causa: gestire la pandemia e spendere bene i soldi dell’Europa. Per queste due priorità si è affidato ad un suo fedelissimo, il ministro dell’Economia Daniele Franco (si vede poco in tv, molti fatti e poche chiacchiere), e ad un Generale dell’Esercito abituato a fare logistica nei teatri di guerra. Il resto per il nostro premier è un contorno, quasi equiparabile alle beghe di un condominio.