Domani si terrà la prima seduta di votazione a Parlamento riunito (Camera e Senato) per l’elezione del Presidente della Repubblica Italiana.
Si farà uno scrutinio al giorno, voteranno 1008 grandi elettori (630 deputati, 320 senatori e 58 delegati), compresi i positivi al Covid, grazie all’utilizzo di un gazebo allestito accanto a Montecitorio. Nei primi tre scrutini serviranno i due terzi dei consensi: 672 voti. Dalla quarta votazione in poi basta la maggioranza assoluta, pari a 505 voti.
I numeri parlano chiaro, nessuna coalizione all’interno del Parlamento ha la forza per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Sommando i grandi elettori di destra mancherebbero poco più di 50 voti per raggiungere i 505, qualcosa in più mancherebbe invece al centrosinistra. Se a entrambi gli schieramenti si sommassero i 45 parlamentari di Matteo Renzi, comunque non si raggiungerebbe il quorum necessario. Senza contare che per avere una certa sicurezza servono almeno 525 voti, considerando la dispersione dei voti dei “franchi tiratori”.
Da domani comunque servirà mettere sul tavolo dei nomi, e per la prima volta la palla è nel campo del centrodestra. Toccherà a Salvini e compagni dare le carte e non fare brutte figure con la bocciatura dei candidati proposti. Se proponi un nome e questo non passa, il rischio è quello di essere considerato poco capace nella strategia politica.
Nella settimana appena trascorsa il centrodestra si è bloccato sul nome di Silvio Berlusconi, l’uomo più divisivo del Paese. Ieri sera c’è stato il passo indietro del Cavaliere, non si candiderà per la consapevolezza di non avere abbastanza voti. La sensazione è che i leader di centrodestra non abbiano creduto a questa candidatura fino in fondo per la mancanza di numeri. Per non fare la figura di quelli che non sanno dare le carte hanno lasciato decidere a lui: se credi di potercela fare annuncia apertamente la tua candidatura, noi ci saremo, altrimenti abbiamo pronti altri nomi.
Posta così nessuno avrebbe potuto dire, in caso di sconfitta, che a perdere sarebbe stato il centro destra. Avrebbe perso Silvio Berlusconi. È stata, inoltre, un’operazione aperta, priva della segretezza che invece serve in questi casi. Personalmente però ci vedo anche una grande lealtà da parte di Salvini e Meloni verso una persona che ha personificato la destra italiana negli ultimi 30 anni. Un rispetto assoluto, che va oltre la paura di schiantarsi. Una dimostrazione unica di affetto, stima e fedeltà. Non era scontato. In politica poi…
Io ho capito che per Berlusconi sarebbe stato durissima quando, ad inizio settimana, Matteo Renzi ha affermato che per lui ci sarebbero state zero possibilità. Il leader di Italia Viva, che con le sue capacità strategiche ha deciso gli ultimi tre governi e l’elezione di Mattarella al Quirinale, raramente sbaglia in queste previsioni. La sua affermazione poi è stata la certificazione di un mancato sostegno del suo partito al leader di Forza Italia, cosa che poteva starci vista la sua posizione più moderata rispetto al resto della sinistra italiana.
In settimana mentre scendevano le quotazioni di Silvio Berlusconi salivano quelle di Mario Draghi. A mio avviso resta il favorito. Sicuramente le forze politiche in queste occasioni si giocano tanto in termini di credibilità e di dimostrazione di capacità politica. Vedremo.
Lasciando stare le strategie di questi giorni, a breve avremo un nuovo Presidente. La mia speranza è che sia un nome condiviso, che abbia il consenso di larga parte del Parlamento, e non eletto per la sola volontà dei parlamentari iscritti al gruppo misto, persone che non hanno una collocazione precisa e che hanno lasciato il partito con il quale (e grazie al quale) sono stati votati. A questo punto, dopo i primi tre scrutini, in cui servono i due terzi dei voti, non sarebbe più giusto dare la parola a tutti gli italiani?
I poteri del Presidente della Repubblica sono diversi, però in Italia, diciamocelo chiaramente, il Presidente interviene poco nelle decisioni del Governo. Di Mattarella ricordo con piacere (non per la natura della decisione su cui si può essere d’accordo o meno) il suo “no” a Paolo Savona quale ministro dell’Economia del nascente governo Lega-M5S per le sue posizioni anti euro.
D’altra parte gli interventi più decisivi sono stati proprio quelli durante le fasi tumultuose di formazione dei vari governi che si sono succeduti nel corso del suo settennato, ben quattro. Un numero che sarà superato qualora il prossimo Presidente della Repubblica fosse Mario Draghi, che arriverà facilmente a dovere svolgere le consultazioni per la formazione di almeno 5 governi: il prossimo, i tre governi della prossima legislatura (ormai standard), e il primo della legislatura successiva.
La nostra legge elettorale non garantisce una governabilità stabile, e finché non verrà cambiata, non avremo mai un vincitore assoluto. Anzi crea instabilità e governi improbabili tenuti in piedi dalla volontà di non andare al voto anticipato, con conseguenti crisi ricorrenti. Il Parlamento, invece, una volta formato, non cadrà per almeno 4 anni e mezzo. Cambieranno i governi ma non il Parlamento.
Questo succede dalla riforma del 2012, governo Mario Monti, che ha legato le pensioni dei parlamentari alla durata della legislatura (4 anni e mezzo). Da allora abbiamo assistito alla tripletta Letta-Renzi-Gentiloni, e alla possibile quaterna Conte-Conte-Draghi-??.
Da qui il ruolo fondamentale del Presidente della Repubblica Italiana: trovare la quadra nelle consultazioni per la creazione dei vari governi, per lo più impensabili alla vigilia, com’è successo in questa legislatura. In altre parole dovrà mettere una pezza all’incapacità politica di fare una legge elettorale che garantisca una governabilità al Paese. Da quando non abbiamo un Presidente del Consiglio eletto dal popolo italiano?