Approvato dal governo il Dpb, il Documento programmatico di bilancio, che è stato subito inviato al Parlamento e alla Commissione europea per essere valutato.
Si tratta di un documento che definisce l’architettura della Manovra (o legge di bilancio) illustrando le linee di intervento e gli effetti sui principali indicatori economici. Ovviamente rivela le cifre della legge di bilancio, che per il 2022 vale complessivamente 23.4 miliardi.
In attesa dell’approvazione, che richiederà ancora qualche giorno, sono stati definiti i capitoli di spesa. La fetta maggiore andrà al fisco (finalmente): 8 miliardi subito per il taglio del cuneo fiscale (differenza tra stipendio lordo pagato dalle aziende e importo netto percepito in busta paga dai lavoratori), con un alleggerimento del prelievo sulle persone fisiche (in particolare sul ceto medio) e sulle imprese.
Se per le tasse il consenso è pressoché trasversale, non si può dire la stessa cosa per altri due capitoli scottanti: pensioni e reddito di cittadinanza.
Pensioni: arriveranno pochi soldi, dunque bisogna lavorare di più. Quota 100, che consente di andare in pensione con 62 anni di età e 38 di contributi, non sarà rinnovata (scade il 31 dicembre). Daniele Franco, ministro dell’Economia, ha proposto Quota 102 (64+38) nel 2022 e Quota 104 (66+38) nel 2023. La Lega, a cui va la paternità di Quota 100, ha espresso dei dubbi, però la sensazione è che la proposta verrà accettata, purché non si torni alla legge Fornero (in pensione a 67 anni).
Reddito di cittadinanza: arriveranno meno soldi (rispetto a quelli previsti a legislazione invariata) grazie alle modifiche che saranno apportate. I controlli si faranno prima di accogliere le domande (e non a campione), saranno introdotti obblighi di formazione e ci sarà il taglio immediato dell’assegno per chi rifiuta il lavoro: una stretta per frenare la crescita continua dei beneficiari.
Sostanzialmente stiamo continuando ad assistere al paradosso che caratterizza questa lunga legislatura: provvedimenti importanti vengono aboliti o modificati dagli stessi parlamentari che li avevano votati in precedenza (gli esecutivi sono diversi, ma la legislatura e i parlamentari sono gli stessi).
Quota 100 si è rilevata costosa, senza ottenere gli obiettivi che si era prefissata. Non ha portato alle assunzioni sperate. Il rapporto doveva essere 1:1, addirittura in alcune stime doveva essere 1 uscita per 2-3 ingressi, invece c’è stata circa un’assunzione su 10 uscite. Se mandiamo prima le persone in pensione, ce ne devono essere altre pronte a subentrare, altrimenti chi mantiene le prime?
Il Reddito di cittadinanza si è rilevato un flop. Nei salotti della politica lo sanno tutti. Lo sa il M5S che ora ne invoca delle modifiche che sanno di ammissione, lo sa la Lega che prima lo ha votato e ora ne vorrebbe l’abolizione, lo sanno gli altri partiti che ingoiano il rospo pur di rimanere a galla in Parlamento e non andare ad elezioni anticipate (avendo il M5S la maggior parte dei parlamentari). Il principio potrebbe essere corretto, ma così com’è concepito il sussidio non fa altro che sostenere il lavoro nero. Per non parlare dei mafiosi, dei condannati o dei delinquenti che ricorrentemente vengono scoperti quali percettori del reddito di cittadinanza. La misura prevedeva, inoltre, la figura dei navigator (mediatori tra domanda e offerta di lavoro) che, dopo aver sostenuto un veloce corso di formazione, avrebbero dovuto fornire ai beneficiari del sussidio una proposta di lavoro congrua. Col tempo si è visto che queste offerte arrivano con il contagocce, mentre i navigator si sono rilevati spesso improvvisati e impreparati (non per causa loro). Non era meglio affidarsi a coloro che questo lavoro già lo svolgevano di professione (agenzie interinali ecc.)?
Concludo con un’esortazione: cari politici, quando si varano dei provvedimenti vanno valutati in anticipo i benefici effettivi e l’impatto sulle finanze pubbliche, pensando prima a come ammortizzare le spese e a come espletare eventuali controlli. Solo così potranno essere evitati sprechi e danni economici ingenti che ricadranno inevitabilmente nelle tasche dei cittadini.