Dopo le elezioni europee di giugno si è completata in settimana la distribuzione delle principali cariche istituzionali europee.
La maltese Roberta Metsola è stata rieletta presidente del Parlamento Europeo, mentre Ursula von der Leyen è stata confermata alla guida della Commissione Ue dopo i negoziati di fine giugno tra Popolari, Socialisti e Liberali, senza il coinvolgimento dei Conservatori, di cui fa parte Fratelli d’Italia, e di altri gruppi parlamentari di estrema destra.
Il Parlamento europeo ha rieletto Ursula von der Leyen con 401 voti a favore (la maggioranza minima richiesta era 360), con Fratelli d’Italia che ha votato contro e con i voti decisivi del gruppo dei Verdi.
In settimana sono stati eletti, inoltre, i presidenti e i vicepresidenti delle 24 commissioni parlamentari, organi importanti dove si discute e si trovano gli accordi politici sulle misure da adottare in Europa, che poi vengono votate dall’Aula. Ovviamente la maggior parte degli incarichi sono stati assegnati ai gruppi parlamentari che fanno parte della maggioranza: Partito Popolare Europeo (centrodestra), Socialisti e Democratici (centrosinistra) e Liberali del gruppo Renew (di cui fa parte Macron).
Alcune presidenze di commissione (non di peso) sono state assegnate anche ai gruppi che non fanno parte della maggioranza (strategia che serve per allentare le tensioni tra maggioranza e opposizione durante i lavori parlamentari), due al gruppo della Sinistra e tre ai Conservatori (i presidenti non sono però di Fratelli d’Italia). Ai gruppi parlamentari di estrema destra non è stata invece assegnata alcuna carica istituzionale, né ai Patrioti per l’Europa, di cui fanno parte Rassemblement National di Marine Le Pen e la Lega di Salvini, né all’Europa delle Nazioni Sovrane, di cui fa parte l’ungherese Orbán. Sono considerati gruppi apertamente euroscettici e con posizioni in parte filorusse (Orbán è stato l’unico leader europeo ad avere incontrato Putin dall’inizio del conflitto in Ucraina).
La partita delle nomine europee non è andata bene per l’Italia, a partire dall’elezione di Ursula von der Leyen. Prima c’è stato l’accordo politico senza il coinvolgimento delle destre europee che aveva generato qualche mugugno, quando in realtà era giusto così. Le destre hanno vinto in Italia e Francia, ma la valutazione va fatta a livello europeo, e lì hanno primeggiato i partiti dell’attuale maggioranza (popolari, socialisti e liberali), per cui le proteste erano a mio avviso infondate.
Al momento dell’elezione per la presidenza della Commissione, poi, la maggioranza sulla carta era solida, ma c’era il rischio dei franchi tiratori, per cui si guardava al sostegno dei Verdi o di qualche esponente dei Conservatori. Il sostegno è arrivato, ma solo da parte dei Verdi: aspettiamoci, quindi, in futuro, provvedimenti al limite dell’ecofanatismo.
Il governo italiano, se si esclude Forza Italia (PPE), è finito all’opposizione nel Parlamento europeo, nonostante alle elezioni europee avesse fatto il pieno di voti. Qualcosa in più andava fatta, a volte bisogna pur concedere per evitare l’isolamento e avere il sostegno in problematiche che ci riguardano da vicino, quali l’immigrazione e la crisi economica.
L’obiettivo deve essere, a mio parere, avere rapporti proficui con le istituzioni europee e mondiali (Unione europea e NATO). Serve un riallineamento. Siamo palesemente in difetto: in ambito Alleanza Atlantica investiamo poco nelle spese militari (lontani dalla soglia minima del 2% del Pil), per cui non meravigliamoci se uno spagnolo e non un italiano è stato nominato rappresentante per il fronte Sud del Mediterraneo.
In Europa ci presentiamo con un debito esagerato senza aver mai proposto un piano di riduzione credibile. L’allineamento, inoltre, serve anche per avere più sostegno nella gestione del fenomeno migratorio. In definitiva non siamo proprio nelle condizioni di poterci permettere una situazione di marginalizzazione.