Giorgia Meloni ha incontrato le delegazioni dei partiti di opposizione per discutere di riforme costituzionali sui principali organi dello Stato.
La premier non ha presentato alcuna proposta di riforma in quanto ha preferito prima avere un confronto con le altre forze politiche, tuttavia la ministra per le riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha fatto sapere che entro l’estate presenterà il ddl costituzionale.
I punti principali della riforma sono ormai noti: il semi-presidenzialismo, già dichiarato una priorità in campagna elettorale, e la possibilità di eleggere direttamente il presidente del Consiglio (premierato).
Attualmente l’Italia è una Repubblica parlamentare, in cui i cittadini votano i loro rappresentanti al Parlamento, che a loro volta sostengono un governo alla cui guida può essere nominato chiunque (non eletto dal popolo) nel caso in cui non si raggiunga una maggioranza stabile. Il potere esecutivo è esercitato dal governo mentre il presidente della Repubblica è una figura di garanzia istituzionale e di rappresentanza, eletto dai parlamentari.
Nel semi-presidenzialismo, invece, il presidente della Repubblica viene eletto direttamente dai cittadini ed esercita anche il potere esecutivo. Presiede infatti il Consiglio dei ministri ed esercita l’azione di governo insieme al Primo ministro (una figura intermedia) nominato da lui stesso. Il potere esecutivo in sostanza è condiviso tra presidente della Repubblica e Primo ministro, come succede in Francia. Nel presidenzialismo, invece, come succede negli Stati Uniti, che sono una repubblica presidenziale, il potere esecutivo è detenuto dal presidente, che è sia capo della Stato che capo del governo.
Dopo il confronto con la premier le opposizioni (Pd, M5S, Azione, Italia Viva, Verdi e Sinistra) si sono mostrate trasversalmente contrarie al semi-presidenzialismo, mentre qualche apertura al premierato è arrivata da Calenda e Renzi (più poteri al premier eletto, definito il “sindaco d’Italia) che però hanno poca rappresentanza in parlamento.
La sensazione è che alla fine non se ne farà nulla, come al solito. Di riforme costituzionali si discute da anni, e ogni tentativo di farle è sempre miseramente fallito. La disfatta è dovuta alla distanza tra le forze politiche e alla tipologia della riforma. Intervenire sulla Costituzione, infatti, comporta due passaggi parlamentari in ciascuna Camera e un successivo referendum confermativo (che in passato ha bruciato la riforma di Berlusconi e di Renzi) che potrebbe essere evitato solo se la proposta dovesse ottenere i due terzi della maggioranza in parlamento. Questa eventualità potrebbe avverarsi con i numeri attuali, soprattutto nel caso dell’elezione diretta del premier (su cui qualche forza di opposizione concorda), mentre vedo meno fattibile quella del Capo dello Stato.
Personalmente apprezzo i tentativi di dare più stabilità al governo. Nel semi-presidenzialismo il governo può essere sfiduciato da una delle due camere, ma la sfiducia deve essere “costruttiva”, deve cioè essere accompagnata da una proposta di un nuovo primo ministro gradito, assicurando così la continuazione della legislatura, mentre il presidente non può essere sfiduciato essendo eletto dai cittadini.
I Paesi più importanti al mondo eleggono direttamente il loro presidente (mentre l’elezione diretta del premier non esiste da nessuna parte), evidentemente è la cosa migliore. L’instabilità politica e i cambi continui dei governi rendono un paese più fragile e più esposto alla crisi economica e alla speculazione internazionale. Francamente l’Italia, con un debito pubblico esagerato, non può più permetterselo.
Il tutto è peggiorato da una legge elettorale farlocca, che non consente di formare governi stabili, con un ricorso frequente ad alleanze impensabili alla vigilia delle elezioni oppure costituite da partiti senza una visione comune su molte questioni. Inoltre c’è troppa frammentazione in parlamento, consentita da soglie di sbarramento troppo basse. Infine trovo vomitevole il sistema delle liste bloccate, compilate nelle segreterie dei partiti, senza possibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti.
In definitiva serve un scossa al fine di ottenere una maggiore stabilità, altrimenti la politica sarà più debole e conterà sempre meno. Comanderanno i poteri forti e la finanza internazionale, e i cittadini non crederanno più nella politica stessa. Il crescente astensionismo ne è la prova.