Arrestato dai Carabinieri del Ros, a Palermo, Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra e latitante da 30 anni, considerato il boss più ricercato al mondo, il più sanguinario. Legato al clan dei corleonesi, pupillo di Totò Riina (il capo dei capi), era diventato il capo della mafia siciliana dopo l’arresto di Bernardo Provenzano nel 2006.
Nella sua storia criminale è stato condannato a diversi ergastoli per tantissimi omicidi, per le stragi del 92 che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ‘93 a Milano, Firenze e Roma. Gestiva lo smaltimento illegale dei rifiuti, il riciclaggio di denaro, il traffico di droga e il racket delle estorsioni. È stato protagonista di molti delitti efferati, tra cui quello di Giuseppe Di Matteo, figlio tredicenne di un mafioso pentito, prima strangolato e poi sciolto nell’acido nel 1996 da Giovanni Brusca, dopo due anni di prigionia. Ad un amico avrebbe confidato: “con le persone che ho ammazzato io potrei fare un cimitero”.
È sicuramente un arresto simbolico, che ha decretato la fine della caccia ai grandi latitanti di una mafia che non c’è più, la mafia stragista, quella più idealista e violenta nei confronti delle Istituzioni. È la fine di un’epoca, ma la mafia, purtroppo, non è stata ancora sconfitta.
Negli anni, infatti, si è verificato il passaggio ad una mafia più imprenditoriale. Basta analizzare i numeri. Un recente rapporto della Banca d’Italia parla di un giro di affari di circa 38 miliardi di euro all’anno, quindi più di 100 milioni al giorno che vengono movimentati e investiti. In sostanza è una vera e propria forma di economia illegale che inevitabilmente sostiene e alimenta, in parte, quella legale. Va combattuta con tutte le forze, ma la montagna da scalare è altissima. Bisogna comunque crederci.
Tornando all’arresto del super boss, la cattura è arrivata dopo anni di segnalazioni, indagini, avvistamenti, blitz andati a vuoto, con l’impegno di centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Catturare queste persone non è mai facile, anche se il fatto che Matteo Messina Denaro per tanti anni abbia vissuto nella sua provincia di origine (Trapani) potrebbe fare pensare il contrario. In realtà in questi posti regna la paura, il terrore, il timore di vedere stroncata la vita di un propio caro per il solo fatto di aver in qualche modo accennato ad una determinata situazione o persona. Addirittura si innesca un sistema di favoreggiamento. Per le forze dell’ordine operare in queste condizioni diventa molto difficoltoso.
A questo proposito la riflessione da fare, e concludo, è un’altra. Il super latitante in questione è vissuto per 30 anni in un posto della Sicilia protetto da un’intera comunità, con una rete di favoreggiatori che lavorava per lui e un’omertà che, come detto prima, è in parte giustificabile.
Lo Stato in questi posti e in questi anni c’è stato attraverso il lavoro instancabile delle forze dell’ordine, ma bisogna fare di più, intensificando gli sforzi e incrementando le risorse, altrimenti la sensazione prevalente nella comunità sarà quella di uno Stato che non c’è, e i cittadini saranno quasi costretti a considerare come punto di riferimento questi personaggi che con il potere e i loro soldi si ergono a loro rappresentanti.
Da tale storia, dunque, spero rimanga questo: serve ancora più Stato lì dove è riconosciuta la presenza delle mafie.