Marco Marsilio ha vinto le elezioni regionali in Abruzzo, sarà presidente della regione per il secondo mandato consecutivo.
Le elezioni in Abruzzo erano un importante crocevia per entrambe le coalizioni che hanno volutamente “nazionalizzato” il voto locale affidandogli una valenza statale e assumendosi la responsabilità degli effetti sugli equilibri politici che un’eventuale sconfitta avrebbe potuto causare.
La sinistra dopo il voto in Sardegna credeva nella rimonta sul centrodestra (favorito), con la speranza di aver individuato finalmente la squadra giusta per creare un’alternativa credibile di governo, la destra invece, forte dei sondaggi, aveva voglia di dimostrare che il voto sardo era da considerare un semplice incidente di percorso.
Ha stravinto il centrodestra, con un distacco bruciante di 7 punti percentuali tra i candidati delle due coalizioni.
Fratelli d’Italia si è confermato il primo partito del centrodestra (24%), il Pd (21%) nel centrosinistra. Da registrare l’exploit di Forza Italia (13.4%) che ha quasi doppiato la Lega (7.5%), e il crollo del Movimento 5 stelle (7%). Va male Azione di Calenda.
La destra esulta anche se il risultato del Carroccio fa riflettere: il partito non sta andando bene e questo potrebbe incidere in futuro sull’azione di governo, che dal canto suo non fa sconti. Proprio in settimana la maggioranza ha infatti bocciato la proposta leghista del terzo mandato per sindaci e governatori, che farebbe comodo a Salvini per due motivi: avere più governatori leghisti e mantenere Zaia al suo posto (in Veneto). Il governatore del Veneto, una volta “libero”, potrebbe essere facilmente indicato dal popolo leghista come possibile nuovo leader per fare risalire un partito in crisi. Non a caso Salvini in settimana ha parlato di un possibile ruolo di Zaia in Europa.
Lega a parte, nel centrodestra sorridono tutti, con Forza Italia che cresce soprattutto perché più attrattiva per i moderati di sinistra, contrari all’accozzaglia obbligatoria della coalizione.
Passiamo al centrosinistra. Il campo larghissimo con Pd, M5S, Azione e Italia viva non ha pagato. Si è trattato di un cartello elettorale creato col solo scopo di vincere, senza alcuna idea programmatica unitaria. Le divisioni, anche su temi rilevanti, ci sono sia a destra che a sinistra.
Prendiamo la politica estera: a destra l’atlantismo di FdI e FI convive col trumpismo (e in parte il putinismo) di Salvini, a sinistra l’atlantismo e la linea filo-Ucraina di Schlein convivono col pacifismo di Conte, critico verso la Nato e gli aiuti militari all’Ucraina. Tuttavia a destra si va avanti tranquillamente, con sorrisi, foto di gruppo e qualche frecciatina, non perdendo in credibilità, a sinistra invece prevalgono le critiche pesanti, a volte anche gli insulti, che l’elettorato non può accettare. Da qui l’incompatibilità con Calenda e Renzi, sempre all’attacco nei confronti di Pd e M5S, con insulti reciproci.
Dall’Abruzzo, dunque, è arrivato il messaggio che il campo può essere largo, ma non larghissimo. Ad oggi prevale la linea di escludere i partiti centristi, che sono costretti a guardare non solo a sinistra, ma anche a destra, pur di galleggiare. È stata infatti ufficializzato ieri l’appoggio di Renzi al candidato di destra, Vito Bardi, alle prossime elezioni in Basilicata: un inverosimile spostamento di campo.
In definitiva siamo nel pieno di un’estenuante sfida elettorale che dopo la Sardegna e l’Abruzzo si sposterà in Basilicata (aprile), Piemonte (giugno) e Umbria (novembre), passando per le attesissime elezioni europee di giugno. A destra la squadra sembra pronta, a sinistra ancora no.
Il primo passo, a mio avviso, è quello di definire la leadership, che in questo momento, vedendo i risultati alle regionali, appartiene al Pd. Il M5S su questo farebbe bene a cedere, aspettando momenti migliori per passare al comando. Così ha fatto Giorgia Meloni per anni, e i risultati mi sembra siano arrivati.