La linea italiana sull’immigrazione è molto apprezzata in Europa. In effetti si è assistito ad un netto calo degli sbarchi e diversi leader europei hanno fatto i complimenti alla nostra politica migratoria.
Tra le misure applicate dal nostro governo c’è il protocollo firmato quasi un anno fa col presidente albanese Edi Rama: la costruzione di due centri per gli immigrati in Albania, a spese del governo italiano, in cui trasferire i migranti dall’Italia per effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio di chi non ha diritto di permanenza nel nostro territorio.
Nei giorni scorsi in questi centri sono arrivati i primi 16 migranti: 4 sono rientrati subito per motivi sanitari, gli altri 12 (provenienti da Egitto e Bangladesh) sono rientrati dopo 1 giorno perché la sezione immigrazione del tribunale di Roma non ne ha convalidato il trattenimento in quanto provenienti da Paesi non sicuri (applicando una sentenza della Corte di Giustizia europea). In sostanza in Albania sono destinati solo i migranti che provengono da paesi sicuri, da cui i migranti non hanno ragioni fondate per scappare o chiedere asilo in Italia. Lì la procedura è accelerata e anche il rimpatrio sarebbe più rapido.
A questo punto il governo ha accusato la magistratura di avere preso una decisione di natura politica, e per tutta risposta il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge contenente una lista dei cosiddetti paesi “sicuri”. In realtà Egitto e Bangladesh, da cui provengono i 12 migranti, erano già considerati paesi sicuri, tuttavia per il tribunale di Roma non lo sono in maniera omogenea in tutto il loro territorio (come stabilito dalla Corte di Giustizia).
Il governo con il decreto-legge vuole superare l’impasse creata dal tribunale di Roma: se vieni da uno di quei paesi significa che vieni da un paese sicuro, senza possibilità di interpretazione. Vedremo se il decreto funzionerà e se renderà finalmente operativi i centri realizzati in Albania.
La vicenda ha innescato in Italia un acceso dibattito con l’immancabile polemica tra governo e magistratura, esacerbata da una e-mail infelice di un magistrato, sostituto procuratore generale della Cassazione e aderente a Magistratura democratica, in cui si parla della pericolosità del nostro premier Meloni, dovuta al fatto che si muove più per ideologia politica che per interessi personali, e alla mancanza di inchieste giudiziarie a suo carico.
A mio avviso si è trattato di un regalo fatto al presidente del consiglio (il suo consenso è aumentato negli ultimi giorni), oltre che di un brutta figura per un potere dello Stato che dovrebbe essere terzo in ogni situazione. L’esistenza delle correnti politiche in magistratura le trovo di una gravità assoluta. È come se in medicina esistesse il cardiologo della libertà o l’ortopedico popolare. Curerebbero tutti alla stessa maniera, ma le attenzioni, anche quelle minime, cambierebbero. Si potrebbe obiettare che la salute è un bene assoluto, va bene. Tuttavia mandare in carcere un innocente o metterlo alla gogna non significa recargli un danno morale, a volte sanitario, spesso irreversibile? La giustizia è sacra, e anch’essa, se sbagliata, decide sulla salute dell’individuo. Quindi, o fai il giudice o fai il politico, senza possibilità di interscambio.
Ho trovato assurdo, inoltre, la richiesta delle forze di opposizione, fatta alla Commissione europea, di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per l’accordo sui flussi migratori in Albania. Altro regalo per la premier. Si può chiedere all’Europa di andare contro il proprio Paese, infliggendogli una sanzione in soldi (dei cittadini), semplicemente per attaccare il governo? Credo che una cosa del genere sia senza precedenti. Incredibile.
La verità, e concludo, è un’altra: negli ultimi anni si sono susseguiti diversi voti del Parlamento europeo sulle politiche migratorie, che purtroppo per noi hanno cambiato poco o nulla rispetto al passato. L’accoglienza dei migranti spetta al Paese di primo ingresso, non c’è il ricollocamento obbligatorio nei paesi membri, i governi che non aderiscono alla solidarietà si fanno perdonare finanziando le operazioni di controllo alle frontiere.
La nostra premier si sta impegnando, come promesso, su questo fronte e il protocollo Italia-Albania potrebbe essere una soluzione. È un tentativo per risolvere un problema che fondamentalmente è più nostro che degli altri. Serve la collaborazione di tutte le forze politiche. Forse un’utopia.