Negli ultimi 10 giorni l’asse Italia-Egitto ha tenuto banco relativamente a due personaggi di cui si è tanto parlato in questi ultimi anni: Giulio Regeni e Patrick Zaki.
Partiamo col primo, ricercatore di 28 anni rapito, torturato e ucciso al Cairo nel 2016 mentre stava lavorando alla sua tesi di dottorato. Sul caso è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta che nelle sue conclusioni, di circa 10 giorni fa, conferma sostanzialmente la tesi della procura di Roma che a maggio scorso aveva chiesto il rinvio a giudizio di 4 ufficiali dei servizi segreti egiziani (il processo è attualmente sospeso per un difetto di notifica, probabilmente creato ad arte, degli atti giudiziari agli imputati). La Commissione ha stabilito la responsabilità dei servizi egiziani, il mancato aiuto delle autorità europee nel fare luce sulla vicenda, e l’ostruzionismo del governo egiziano che ha ostacolato in tutti i modi le indagini (le autorità egiziane parlarono inizialmente di morte per incidente stradale o di uccisione da parte di una banda criminale). Nella relazione della Commissione è presente, inoltre, una critica ai governi italiani che si sono succeduti e che non avrebbero esercitato una pressione diplomatica sufficiente.
È andata invece a buon fine la vicenda di Patrick Zaki, lo studente egiziano che, mentre frequentava un master all’Università di Bologna, veniva arrestato nel febbraio 2020 in aeroporto, in Egitto, dove era giunto in vacanza per salutare i suoi genitori. Zaki è un’attivista impegnato nella difesa dei diritti umani, da sempre critico verso il governo egiziano per il trattamento riservato ai cristiani copti a cui appartiene la sua famiglia (il cristianesimo era la religione predominante ai tempi dei romani, poi, con l’arrivo degli arabi musulmani, è diventata la più grande minoranza religiosa del paese, 15%). I capi d’accusa per il suo arresto sono diversi: minaccia alla sicurezza nazionale, propaganda per il terrorismo, diffusione di notizie false, propaganda sovversiva. In particolare gli vengono contestati diversi post su Facebook. Qualche giorno fa il tribunale ha deciso per la sua scarcerazione, ma non è ancora stato assolto dalle accuse. Vedremo cosa succederà.
Sono due vicende dal finale diverso ma entrambe prestano il fianco a tante riflessioni.
Nel caso di Regeni fa molto rumore il sostanziale isolamento dell’Italia nel pretendere risposte dalle autorità egiziane, un ulteriore prova di una politica estera europea inesistente. La relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta (per definizione costituita da parlamentari), inoltre, muove pesanti critiche all’atteggiamento dei governi che si sono succeduti. La pressione della nostra diplomazia non sarebbe stata sufficientemente forte per avere giustizia. La critica riguarda la stessa compagine di governo sostenuta dall’attuale Parlamento, di cui fanno parte gli stessi membri della Commissione. In sostanza un’autocritica, a dimostrazione del fatto che criticare è facile, agire lo è un po’ meno.
Per Zaki l’epilogo è stato diverso. Zaki è libero, anche se non ancora assolto. Alla sua storia si sono interessate diverse organizzazioni internazionali (tra cui Amnesty International) che operano in difesa dei diritti umani, oltre a funzionari del ministero degli Esteri italiano e dell’Ue, la diplomazia italiana si è spesa tantissimo, mentre il Parlamento ha votato una mozione per concedergli la cittadinanza italiana. La pressione ha funzionato.
In questo momento, però, nel mondo ci sono diversi italiani che vivono situazioni simili, la cui vicenda, a differenza di quanto successo per Zaki, non ha avuto un’enfasi mediatica significativa. Penso ad esempio all’imprenditore milanese Andrea Costantino arrestato ad Abu Dhabi nel marzo scorso. È attualmente in carcere senza sapere il perché, non essendogli state ancora formalizzate le accuse. La sua compagna ha affermato che “dorme e mangia per terra, ha perso 25 chili”. La notizia della scarcerazione di Zaki è sicuramente un’importante iniezione di fiducia per i familiari di questi italiani incappati in storie al limite del paradosso, però negli stessi subentra il dispiacere per un minore clamore mediatico intorno alla vicenda del proprio caro, con il timore per un epilogo differente.
L’impegno deve essere massimo per tutti, con l’apertura di tutti i canali diplomatici a disposizione. Il tempo a disposizione è sempre poco. Zaki, dopo la libertà, ha affermato: “ avete tenuto la luce accesa su di me”. Bene, facciamolo per tutti.
Concludo con una frase, che sinceramente mi ha fatto rabbrividire, della senatrice Liliana Segre, che ha vissuto un’esperienza simile ad Auschwitz: “la paura per una porta che si apre, quando non sai se dietro ti aspetta la libertà o la mano degli aguzzini”.