
Siamo giunti a settecento giorni di guerra in Medioriente e la novità sostanziale di questa estate è la decisione presa da Netanyahu di occupare totalmente la Striscia di Gaza.
La volontà del premier israeliano non è conquistare Gaza e restarvi, ma eliminare Hamas e ritirarsi, affidando la sovranità a Stati arabi alleati di Israele e degli Stati Uniti, essendosi dimostrato inconsistente, a suo parere, lo stesso presidente della Palestina, Abu Mazen.
Si tratta di un piano condiviso dall’amministrazione Trump che allo stato attuale ha portato all’occupazione dell’80% della Striscia di Gaza e del 40% di Gaza City.
L’offensiva israeliana sta provocando distruzione e morte, tuttavia Netanyahu tira dritto, senza neanche prendere in considerazione l’offerta di Hamas di una tregua in cambio di alcuni ostaggi. Per la prima volta il governo israeliano non vuole trattare, non vuole giungere ad un negoziato con Hamas. L’obiettivo dichiarato è sconfiggere sul campo il braccio armato dell’Iran ed eliminarlo politicamente.
C’è da credere che sarà così, visto che si tratta di uno degli eserciti più attrezzati al mondo. Al momento, infatti, Israele è in guerra su 7 fronti: Gaza, Libano, Cisgiordania, Siria, Yemen, Iran e Iraq. In pochi mesi ha eliminato Sinwar, leader di Hamas e mente diabolica del massacro del 7 ottobre 2023, in Libano ha annientato gli Hezbollah e tutti i suoi capi (tra cui Nasrallah), ha attaccato l’Iran e distrutto i programmi nucleari dí Khamenei, in Siria ha causato la caduta del regime e la fuga di Bashar al-Assad, e proprio in questi giorni ha decapitato i vertici Houthi nello Yemen.
A differenza del conflitto in Ucraina, l’offensiva israeliana prosegue nell’immobilismo della comunità internazionale. A portare aiuti umanitari e solidarietà al popolo palestinese sotto assedio ci stanno pensando delle imbarcazioni con a bordo attivisti, come Greta Thunberg, che stanno salpando da diversi porti del Mediterraneo, con direzione Gaza.
Trump continua a giocare sulla scacchiera mondiale, in Ucraina critica Putin per le morti inutili che sta causando, mentre per le morti di Gaza non dice una parola, in parte per opportunità geopolitiche, in parte perché sa che in un eventuale scenario di guerra globale avere Israele al proprio fianco significa poter contare su un alleato fortissimo, armato fino ai denti.
Sulla guerra in Medioriente l’Europa invece condanna le mosse di Netanyahu, tuttavia a mio avviso dimentica con troppa facilità che dall’altra parte non abbiamo a che fare con dei santi. Si tratta delle belve del massacro 7 ottobre, che non hanno mai voluto i due Stati, che, alimentati dall’Iran, hanno sempre parlato di eliminare Israele, che attualmente razziano gli aiuti alimentari pur di screditare l’avversario, e che mandano i video degli ostaggi ebrei in condizioni disumane.
La stessa Lega Araba, costituita da 21 Stati membri e deputata alla mediazione nei conflitti fra Paesi arabi, ha chiesto all’unanimità a Hamas di liberare gli ostaggi e disarmare le milizie.
In conclusione è auspicabile che gli attacchi terminino al più presto, tuttavia l’unica possibilità che ciò accada è la resa di Hamas. La comunità internazionale farebbe bene a invocarla a gran voce, anziché indignarsi e non fare niente.