Nonostante il Terzo Polo, costituito dai due partiti di centro Azione e Italia Viva, abbia fatto incetta di fallimenti elettorali (alle ultime elezioni regionali in Friuli non è entrato in consiglio regionale prendendo addirittura meno voti del partito No Green Pass), riesce comunque a essere al centro del dibattito politico, soprattutto per il carisma e la storia politica dei due leader, Carlo Calenda e Matteo Renzi.
Il progetto di un partito unico, che avrebbe dovuto unire i due partiti del Terzo Polo, è naufragato in maniera prevedibile e squallida, con scambi di accuse e duri attacchi personali tra i due leader (“è pazzo, ha sbagliato il dosaggio delle pillole”, “Buddha reincarnato” ecc.) che, senza esclusione di colpi, hanno dato vita ad uno spettacolo indegno.
Il progetto del Terzo Polo era nato durante la campagna elettorale per le elezioni politiche di settembre scorso: prima un’alleanza tra i due partiti e poi un percorso verso la fondazione di un partito unico. Era evidente da subito, però, che si trattava di un’alleanza nata per convenienza elettorale più che per convinzione.
L’opportunismo politico era legato al funzionamento della legge elettorale: Italia Viva da sola avrebbe rischiato di non entrare in Parlamento per la soglia di sbarramento al 3%, mentre Azione non aveva raccolto le firme per presentare una propria lista alle elezioni (la cosa non riguardava Italia Viva perché già presente in Parlamento nella legislatura precedente).
La coalizione è andata male in tutti gli appuntamenti elettorali: alle politiche è arrivata quarta (dietro il centrodestra, il Pd e il M5S) e non terza come sperava, alle regionali in Lombardia e nel Lazio è andata male, mentre in Friuli Venezia Giulia è stato un disastro.
In questi giorni Calenda e Renzi hanno ufficializzato il fallimento del progetto, dandosi le colpe a vicenda. Le motivazioni sono da ricercare essenzialmente nella volontà di Matteo Renzi di non sciogliere Italia Viva prima dell’elezione del segretario del nuovo partito unico, e in una questione economica: Azione voleva che i due partiti versassero al nuovo soggetto politico il 70% dei soldi ricevuti col “2 per mille” (Italia viva avrebbe avuto un maggiore esborso), mentre Italia Viva voleva che le spese fossero divise a metà.
Queste sono le motivazioni di cui si sta parlando con più insistenza, in realtà a mio avviso le ragioni sono ben altre. Innanzitutto i flop elettorali a ripetizione che hanno fatto capire chiaramente che il matrimonio non s’ha da fare.
Poi c’è la voglia di leadership dei due leader, Calenda e Renzi, con uno dei due che avrebbe dovuto rinunciare a essere il punto di riferimento del nascituro partito unico. Renzi è andato via dal Pd perché voleva essere il leader indiscusso, può adesso andare a fare il secondo di Calenda in un partito che prende sberle ovunque?
I due leader, inoltre, avevano puntato su Mario Draghi quale stella polare da seguire anche in futuro, ma l’ex presidente della Bce non si è mai esposto più di tanto, per cui a nessun cittadino è veramente ben chiaro cosa proponessero Italia Viva e Azione.
Infine aggiungo il momento storico attuale in cui prevale un bipolarismo e che non lascia spazio al centro. Il sistema tripartitico lo abbiamo appena vissuto con l’ascesa del M5S, che adesso si è sgonfiato ma non è sparito. Un altro partito al centro ha molta difficoltà a prendere piede, anche se il “fattore Forza Italia” potrebbe rappresentare una variabile importante per accaparrarsi dei voti nella prossima squallida campagna acquisti a cui ora i due leader parteciperanno per crescere separatamente.
È stata una settimana surreale. Cosa resta di tutta questa vicenda? Una grande figuraccia.