
Mentre il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lanciato l’allarme sui salari troppo bassi degli italiani, definendoli una grande questione per l’Italia, l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha certificato nei giorni scorsi un dato raccapricciante: le attuali retribuzioni contrattuali dei lavoratori italiani sono inferiori di circa il l8% rispetto a quelle del gennaio 2021.
In sostanza si tratta di un dato che, associato alla crescita del tasso dell’inflazione (aumento dei prezzi), costringe tanti italiani ad una riduzione del potere d’acquisto e ad avere difficoltà a reggere il costo della vita. Tra le grandi economie gli stipendi degli italiani sono i più bassi e quelli che crescono meno, il che porta i lavoratori italiani a essere sempre più poveri rispetto a quelli europei.
Nell’ultimo decennio le retribuzioni lorde in Italia sono aumentate di circa il 18%, poco di più della metà della media europea (32%), mentre in Francia e Spagna gli aumenti sono stati del 23%, in Germania del 35%. Questo significa che in termini reali, al netto dell’inflazione, gli stipendi si sono abbassati (inflazione e stipendi dovrebbero aumentare allo stesso ritmo): i lavoratori possono cioè comprare meno prodotti con i soldi che guadagnano. Dunque a calare è sostanzialmente il potere d’acquisto che nell’Unione europea è aumentato in media del 3 %: in Francia +1.5%, in Spagna + 3.2%, in Germania +5%, in Italia -6%.
In definitiva si tratta di un andamento disastroso che espone al rischio di povertà una maggiore percentuale di lavoratori rispetto agli altri paesi europei.
Le cause degli stipendi bassi sono da ricercare fondamentalmente nella mancata crescita economica dell’Italia. Gli stipendi sono infatti lo specchio dell’economia di un Paese, e quindi, con una certa approssimazione, dell’andamento del Pil, il prodotto interno lordo. In Italia il Pil è cresciuto fino agli anni 90, mentre dal 2000 non c’è stata crescita sostanziale, con due recessioni (due trimestri consecutivi di contrazione della produzione e quindi del Pil) nel 2008 e nel 2020. Se la produttività non aumenta non aumentano neanche gli stipendi: l’azienda che produce di più diventa più ricca e può aumentare le retribuzioni.
Il problema gira dunque intorno al sistema economico nel suo complesso, che non è stato capace di evolversi attraverso l’adozione di innovazioni tecnologiche (più sono efficienti le macchine più si è produttivi), la formazione dei lavoratori, la meritocrazia (se vanno avanti i raccomandati cala l’efficienza), gli investimenti nella ricerca, imprenditori e manager più preparati, lo snellimento della burocrazia. Sono tutti fattori che aiuterebbero ad aumentare la produttività, che invece è ferma al palo.
Importante, anche se a mio avviso di meno ripesto alla crescita economica, è anche la tassazione del lavoro: se la riduci hai stipendi reali più alti e quindi un maggiore potere d’acquisto.
Non tralascerei un maggiore controllo sui prezzi dei prodotti di prima necessità, che andrebbero bloccati: già le retribuzioni hanno difficoltà ad aumentare allo stesso ritmo dell’inflazione, che sottrae potere d’acquisto ai lavoratori, se poi ci si mettono anche i commercianti ad aumentare i prezzi in maniera incontrollata, allora la povertà è davvero dietro l’angolo.
Inoltre serve velocizzare il rinnovo dei contratti collettivi, che durano solitamente un triennio. In Italia il processo dei rinnovi è lentissimo, i contratti sono spesso scaduti. Le negoziazioni tra sindacati e associazioni dei datori di lavoro dovrebbero essere più frequenti. Tra una rinegoziazione e l’altra passano a volte anni e in questo periodo gli stipendi restano fermi.
Infine terrei anche conto del costo della vita nelle diverse aree del Paese. A mio avviso occorre adeguare gli stipendi al contesto territoriale. Non puoi dare ad un impiegato pubblico o privato che vive in una metropoli del nord gli stessi soldi che dai a un impiegato che svolge la stessa mansione in un paesino del sud Italia. Basti pensare alla casa, bene fondamentale. Le differenze sono abissali, sia per l’acquisto che per l’affitto. Trattandosi di un bene irrinunciabile, in una metropoli del nord un lavoratore stipendiato, pubblico o privato, è condannato ad una vita sicuramente più sacrificata rispetto a tanti altri lavoratori che vivono in un territorio più accessibile. Un’idea potrebbe essere quella di indicizzare le retribuzioni al valore catastale degli immobili.
In conclusione la situazione stipendi in Italia è veramente drammatica. Un lavoratore italiano guadagna in media 10-15 mila euro in meno all’anno di un lavoratore francese o tedesco. Non va bene. Servono salari più dignitosi per sostenere il potere d’acquisto di lavoratori e famiglie e la strada da imboccare è quella di migliorare il sistema produttivo italiano nella sua complessità.