Lo scenario in Medioriente diventa sempre più inquietante e pericoloso. L’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha indotto l’Iran ad attaccare Israele con il lancio di circa 200 missili balistici, tutti respinti dal sistema di difesa coadiuvato dagli Stati Uniti.
Secondo i media israeliani e i funzionari americani Tel Aviv risponderà con un attacco imminente e significativo, nonostante le minacce della guida suprema iraniana Khamenei, riapparso in tv con un fucile al fianco. Stiamo assistendo, dunque, a reciproche rappresaglie, con attacchi e ritorsioni che di fatto potrebbero portare ad un’escalation sempre più difficile da gestire.
Netanyahu intanto continua nella sua strategia di eliminazione dei leader avversari: in settimana raid israeliani sul Libano hanno ucciso il capo del braccio armato di Hamas, mentre varie fonti parlano dell’uccisione, nel corso di un bombardamento su Beirut, di Hashem Saffiedine, il successore appena designato di Nasrallah. Si tratta di uccisioni che avvengono con una precisione quasi chirurgica, come se si trattasse di un videogioco in cui la vittoria si consegue dopo aver eliminato tutti i capi avversari. Netanyahu sembra volere infangare l’onore di essere a capo di una qualsivoglia forza militare considerata terroristica. Anzi vuole trasformare l’onore in terrore, in paura.
Dall’altra parte c’è l’Iran, che in questi anni ha sempre minacciato Israele, invocandone a più riprese la cancellazione. Tuttavia lo scontro non c’è mai stato, in quanto Teheran ha preferito alimentare i gruppi terroristici, da Hamas a Hezbollah, dagli Houthi alle milizie sciite, senza mai esporsi direttamente.
Da qui il piano di Israele di eliminare tutti questi gruppi e giungere alla battaglia finale. Come ci arrivano i due contendenti, Israele e Iran? Le condizioni rispetto a qualche anno fa sono a mio avviso cambiate.
L’asse iraniano con Cina e Russia sembra essersi indebolito, e lo stesso Putin non interviene, neanche a parole, per difendere l’alleata Teheran. Anche la Turchia ha smesso di inveire contro Israele rispetto a qualche mese fa. Troppo alta la trance agonistica dì Netanyahu, che da alcuni giorni ormai ha messo il dito sul grilletto.
Israele, dunque, sembra essere in vantaggio, con successi riportati sul terreno e un sostegno più deciso degli americani. Infatti se fino a qualche giorno fa Biden spingeva per un cessate il fuoco ad ogni costo, in queste ultime ore sta emergendo da più fonti un coordinamento Israele-USA nella pianificazione di raid contro istallazioni petrolifere iraniane, o addirittura di bombardamenti dei siti nucleari in Iran. L’America, che considera Israele quasi come una base americana nello scacchiere mediorientale, sembra non aver accettato l’attacco di Teheran, per cui potrebbe legittimare la reazione israeliana.
La sensazione (e la speranza) è che la paura di una guerra globale possa lasciare il posto ad un conflitto regionale, con il ribaltamento del regime iraniano degli Ayatollah (personaggi religiosi con forte influsso politico, la cui guida suprema è Khamenei), abbandonato dai suoi vecchi sostenitori russi e cinesi, e un cambiamento radicale dell’ordine regionale. A quel punto, finalmente, Netanyahu potrebbe aver raggiunto il suo vero obiettivo (e trovar pace): non essere destituito.