A quasi un anno dall’inizio della guerra in Medioriente il fronte bellico si allarga al Libano, per cui la tanta temuta escalation si sta purtroppo concretizzando.
Se il conflitto tra Israele e Hamas è partito a ottobre 2023, il coinvolgimento di Beirut possiamo farlo risalire a fine luglio 2024, quando un missile di Hezbollah (gruppo politico e militare alleato di Hamas) lanciato dal Libano ha colpito in Israele un campo di calcio con l’uccisione di 11 bambini.
La vendetta di Israele non si è fatta attendere: prima ha eliminato il leader di Hamas Haniyeh, poi con diversi raid ha ucciso centinaia di persone in Libano e alcuni capi militari di Hezbollah. A settembre vengono fatti esplodere i cercapersone e i walkie talkie di miliziani sciiti causando circa 40 vittime. Due giorni fa nuovo attacco di Israele al quartiere generale di Beirut: centinaia di morti tra cui spicca quella di Hassan Nasrallah, guida storica di Hezbollah dal 1992.
In definitiva la strategia militare di Netanyahu in questo anno di conflitto è stata quella di ricercare e assassinare i leader del gruppo militante Hamas a Gaza e i comandanti di Hezbollah, sostenuti dall’Iran, in Libano. Un comportamento che ha indotto l’Iran a trasferire in un luogo segreto la sua guida suprema Khamenei, sarà lui il prossimo obiettivo?
L’Iran intanto promette vendetta, annunciando una punizione adeguata nei confronti dello Stato ebraico, che sembra non essere affatto intimorito dalla minacce. Anzi la sensazione è che Israele, e soprattutto il suo leader Netanyahu, voglia un conflitto più ampio.
Proprio due giorni fa, infatti, mentre si consumava l’attacco su Beirut, il leader israeliano, spinto dagli alleati estremisti di ultradestra, ha respinto la proposta di tregua di 21 giorni avanzata dagli Stati Uniti e dalla Francia all’Onu, dimostrandosi pronto a sfidare tutti i componenti dell’anello di fuoco che lo circonda: gli Houthi nello Yemen, le milizie sciite in Iran e Siria, Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina. Il prossimo passaggio, dunque, potrebbe essere un’offensiva israeliana di terra in Libano, in profondità fino a Beirut, o una risposta iraniana a conferma di un ulteriore ampliamento del conflitto.
Intanto il mondo assiste inerme a questo inizio di escalation, con tutti gli occhi puntati sugli Stati Uniti d’America, il cui atteggiamento continua a mio avviso ad essere ambiguo anche su questo fronte. Come si fa a chiedere la tregua un giorno, e dopo neanche 24 ore applaudire Israele per l’uccisione di Nasrallah, definita una ”misura di giustizia”? L’eliminazione di questo leader storico non rimarrà senza conseguenze, quindi escalation sì o escalation no?
In Italia fanno un po’ sorridere le opinioni divergenti di destra e sinistra, le prime leggermente più a favore di Israele, le seconde più a favore della Palestina. Sappiamo tutti, però, che qualsiasi cosa succeda noi andremo a traino degli americani, su tutti i drammatici fronti di guerra, e le chiacchiere attuali su chi abbia ragione lasceranno lo spazio ai fatti.
Da qui l’importanza di una maggiore partecipazione italiana ed europea nella redazione dei programmi americani, e il significato (mai rilevante come questa volta) delle elezioni presidenziali che si terranno fra poco più di un mese negli USA. In quelle urne, probabilmente, si deciderà il prossimo futuro commerciale e geopolitico del mondo.