Avanti tutta con le riforme. Dopo il recente via libera del Consiglio dei ministri al ddl Giustizia il Governo in settimana ha ottenuto altre due importanti conquiste: dal Senato è arrivato il primo sì al premierato, mentre il disegno di legge sull’autonomia differenziata è stato approvato in maniera definitiva dalla Camera diventando legge.
La riforma del premierato modifica la Costituzione introducendo l’elezione diretta del premier (come succede in Francia): alle elezioni politiche i cittadini votano direttamente un candidato premier, che avrà più poteri e resterà in carica per 5 anni con un limite di due mandati (un terzo mandato è possibile se i primi due sono durati complessivamente meno di 7 anni e 6 mesi). I ministri sono nominati su proposta del premier dal capo dello Stato, e possono essere da lui revocati (oggi non è così).
Si tratta di una riforma costituzionale, per cui necessita di 2 successive votazioni da parte di entrambe le Camere con voto favorevole di due terzi (se non passa si andrà al referendum popolare). Parlerò in futuro della riforma, dei possibili vantaggi, tra cui ad esempio il tentativo di impedire che il risultato delle elezioni venga modificato con cambi di maggioranza durante la stessa legislatura (norma anti-ribaltoni), e delle critiche che gli vengono mosse, tra cui il possibile svuotamento dei poteri del Quirinale, con la possibilità di scioglimento delle Camere da parte del capo del Governo.
Capitolo autonomia differenziata. Da mercoledì scorso la legge è stata approvata in via definitiva. Le Regioni avranno maggiori poteri su 23 materie, dai rapporti con l’Ue all’istruzione, dalla sanità alla sicurezza. Servirà tuttavia del tempo prima che ci sia davvero l’autonomia differenziata. Prima di conferire alle regioni maggiori competenze sarà infatti necessario stabilire i Livelli essenziali di prestazione (Lep). Occorreranno circa 24 mesi. In sostanza per ciascuna materia lo Stato dovrà definire i livelli minimi erogati in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
Secondo i critici il provvedimento è penalizzante per il Sud: essenzialmente si teme che le risorse dei Lep non siano sufficienti per le esigenze del meridione. Sarà battaglia, con le opposizioni determinate a lanciare un referendum abrogativo della legge da loro definita “spacca Italia”: servirà mezzo milione di firme e il raggiungimento del quorum (dovrà partecipare al voto la maggioranza degli aventi diritto).
In definitiva il governo viaggia spedito sulle riforme portando avanti i cavalli di battaglia delle tre forze politiche di centrodestra: Fratelli d’Italia ha a cuore il premierato, definito la madre delle riforme, la Lega punta tutto sull’Autonomia differenziata, mentre Forza Italia ha nella giustizia con la separazione delle carriere il cardine del suo programma.
I tre partiti della coalizione governativa si aiutano a vicenda sui tre provvedimenti, anche se non li condividono in pieno (tanti esponenti di destra ad esempio, soprattutto al Sud, non condividono l’autonomia differenziata), stando attenti a non irritare l’alleato di turno che dovrà poi votare il proprio obiettivo.
Gli fa da contraltare un’opposizione senza strategia alternativa unitaria. Disuniti si otterrà poco contro una coalizione obbligata ad essere compatta per interessi elettorali e programmatici. In soccorso all’opposizione ci sono i rilievi del Vaticano e dei vescovi italiani, e i pareri dell’Europa che vedono nell’Autonomia differenziata un sovraccarico eccessivo per le finanze pubbliche italiane e un rischio per la coesione sociale. Tuttavia credo che non basteranno.
Più facile invece che si arrivi al referendum per tutti e tre i provvedimenti. La premier Meloni lo sa e si sta preparando anche in questo senso. Ha già detto che non ci sarà la personalizzazione del referendum come successe per Matteo Renzi nel 2016. La determinazione del capo di governo è stata finora la vera carta vincente.