Prosegue la tensione all’interno della maggioranza. Come prevedibile più si avvicina la data delle urne più i partiti, in calo di consensi, avvertono la necessità di smarcarsi.
In questo senso ad alzare i toni e mettere in discussione il governo è soprattutto il M5S, ma anche la Lega mostra segnali di agitazione.
In settimana si è rischiato lo strappo tra l’ex premier Giuseppe Conte e il governo Draghi. La crepa si è aperta sul decreto Aiuti, che prevede 23 miliardi a sostegno di famiglie e imprese, e che dovrà essere approvato in Parlamento entro il 16 luglio. Qualche giorno fa ha superato la prova della Camera, ora toccherà al Senato. Sul decreto è stata posta la fiducia, alla quale erano contrari i grillini. Alla fine però i pentastellati hanno votato la fiducia nonostante il testo contenga diversi misure non gradite, tra cui il sì al termovalorizzatore di Roma e quelle riguardanti il superbonus o il reddito di cittadinanza.
In realtà alla base del malcontento del leader grillino Giuseppe Conte, che in pochi giorni ha minacciato più volte la crisi di governo, ci sarebbero delle presunte pressioni di Mario Draghi (che ha smentito categoricamente) al garante del M5S Beppe Grillo per rimuovere lo stesso Conte dalla guida del Movimento perché politicamente “incapace”. Il premier e il leader grillino si sono poi incontrati a Palazzo Chigi per un chiarimento e nell’occasione Conte ha presentato a Draghi un documento con nove punti quale richiesta da parte del M5S per andare avanti con il governo.
È sicuramente una fase tumultuosa della legislatura, con il leader grillino che sta incredibilmente riproducendo la strategia con cui Renzi lo mandò a casa circa un anno e mezzo fa mettendo fine al Conte-bis, quando prima alzò i toni dello scontro, poi presentò un documento, quindi ritirò la fiducia (Conte all’epoca criticò aspramente questo modo di fare, ritenuto da irresponsabili).
In questo caso però manca la compattezza del partito. Conte rischia di mostrarsi meno strategico del leader di Italia Viva, perché il M5S si è appena scisso ed è ancora traumatizzato. Inoltre un’uscita dalla maggioranza porterebbe ad un’ulteriore spaccatura del Movimento, essendoci una componente estremista che vuole smarcarsi dalla maggioranza e un’altra più tollerante. Non è il momento, dunque, di scaricare sul governo le convulsioni interne. Inoltre non ci sarebbero neanche i numeri dalla parte del Movimento, non più prima forza del Parlamento dopo la scissione di Di Maio.
Anche la Lega sta vivendo una nuova fase di pressione sul governo, con un’evidente volontà di incidere sull’azione dell’esecutivo. Il partito di Salvini, però, a mio avviso non staccherebbe mai la spina al governo, perché significherebbe la certificazione del fallimento delle larghe intese. Ci sarebbe così un’ulteriore fuga di elettori verso il partito della Meloni, da sempre contraria a questo tipo di governo. E Salvini non potrebbe proprio permetterselo.
In definitiva le intemperanze di M5S e Lega, che nel 2018 vinsero le elezioni, sono figlie del calo dei consensi subito in questi anni. Serve, però, analizzare bene i motivi che hanno portato a questo allontanamento degli elettori, non essere precipitosi con scelte controproducenti.
Concludo con la sensazione diffusa che dopo l’estate, quando i parlamentari avranno maturato la pensione, si arriverà alla crisi di governo. In realtà il vitalizio per i parlamentari è salvo già ora. La scadenza per ottenere la pensione è il 23 settembre, quando la legislatura toccherà i 4 anni, 6 mesi e 1 giorno.
I deputati e senatori, però, possono stare tranquilli fin da ora perché la legge prescrive che resteranno in carica fino alla prima seduta del prossimo Parlamento. Quindi se anche le Camere venissero sciolte in questi giorni, tra campagna elettorale, elezioni e insediamento del nuovo Parlamento passerebbero più dei due mesi e mezzo mancanti al fatidico 23 settembre.
I politici, tuttavia, proveranno a navigare fino alla fine della legislatura, sicuramente più spavaldi e rinfrancati per aver raggiunto l’obiettivo principale. Assicurata la pensione, conviene non rinunciare a tanti mesi di lauto stipendio, soprattutto in tempi di guerra.