Vittoria per il centrosinistra alle elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Umbria: Michele De Pascale è il nuovo governatore della prima, Stefania Proietti della seconda. Un 2-0 netto, senza discussioni.
In Emilia-Romagna si è trattato di una conferma del centrosinistra, in verità abbastanza prevedibile. Parliamo di una regione rossa da più di 50 anni. La destra ha fatto quello che ha potuto, insistendo sul malcontento della popolazione per la gestione dei recenti alluvioni, ma non è bastato.
Per l’Umbria il discorso è diverso, essendo stata strappata al centrodestra. La sconfitta in questa regione ha fatto emergere due problemi del centrodestra di cui ormai si parla da tempo: la scarsa capacità di selezionare i candidati locali, come successo anche in Sardegna, e la poca qualità della classe dirigente, specialmente a livello locale. Se perdi in una regione dove governavi la colpa della mancata riconferma è facilmente riconducibile al fatto che hai amministrato male il territorio.
A mio avviso non si può attribuire una valenza nazionale alla perdita di una piccola regione come l’Umbria, ma bisogna sicuramente riflettere su cosa si è sbagliato. L’orientamento politico nazionale è a destra, lo dicono i sondaggi e i risultati di questi due anni tra elezioni europee e regionali. La premier va sempre fortissima, più del suo stesso partito. Il consenso nei suoi confronti non cala, espressione di una luna di miele incredibilmente lunga per un neopremier.
Vola Forza Italia, i cui consensi sono raddoppiati in entrambe le regioni in cui si è votato. Il partito dopo la morte del suo leader storico Silvio Berlusconi avanza in maniera inaspettata, a dimostrazione che un buon lavoro paga a prescindere dalla leadership all’interno della coalizione.
Malissimo la Lega di Salvini, che in pochi anni è passata da un 30-35% a un ormai costante 6-7%, perdendo puntualmente il derby interno con Forza Italia. Davvero poco. Un risultato che potrebbe incidere sugli equilibri interni del governo e sulla scelta dei candidati nelle future elezioni regionali.
Passiamo all’opposizione. Questa volta ha vinto il campo largo, ma occorre anche in questo caso fare dei distinguo. Numeri alla mano ha stravinto il Pd, che ha strappato voti al Movimento 5 stelle gettando in una crisi nera il partito di Conte. Il M5S ormai va male sempre, scavalcato negli ultimi test elettorali anche dall’Alleanza Verdi e Sinistra. Il Pd avrebbe vinto in Umbria ed Emilia-Romagna anche senza i voti del Movimento. Sembra fuori luogo, quindi, la pretesa del leader pentastellato di fare accordi alla pari con il Pd nel centrosinistra. La domanda che logora il M5S è la seguente: costruire un’alleanza stabile col Pd (campo largo) o tornare alle origini populiste senza allearsi con nessuno? A mio avviso in entrambi i casi si rischia il tracollo. Perché non fare come nel calcio in cui si cambia l’allenatore?
Tornando al Pd è stata una bella affermazione, punto. A mio avviso però il Pd da solo non basta per sconfiggere le destre unite. Toccherà alla segretaria Elly Schlein sapere costruire l’alternativa di governo, coinvolgere gli alleati e costruire un campo largo con programmi condivisi e credibili. Nel partito democratico i mugugni interni sono dietro l’angolo, soprattutto dopo la bruciante sconfitta in Liguria dove la vittoria era quasi scontata.
In definitiva durante i due anni di governo di Giorgia Meloni il centrodestra ha vinto in 11 regioni mentre il centrosinistra in 3, anche se c’è da dire che si è trattato di elezioni che sono coincise con la luna di miele della premier con gli elettori. Nel 2025 si voterà per il governo di altre sei regioni: Campania, Veneto, Toscana, Puglia, Marche e Valle D’Aosta.
I riflettori saranno puntati soprattutto su due importanti regioni che dovrebbero confermare il loro attuale colore politico (destra in Veneto e sinistra in Campania), ma che per dissidi interni potrebbero riservarci delle sorprese: in Campania De Luca sembra deciso a correre da solo (terzo mandato) senza il sostegno del Pd, in Veneto dopo i due mandati di Zaia (Lega) bisogna scegliere il candidato con una Lega che sta andando malissimo in tutte le tornate ma che pretende di avere più voce in capitolo nella scelta.
Sarà un bel banco di prova per le doti politiche dei leader di partito e di coalizione. A sinistra c’è in gioco la leadership: se andrà male si cambia. A destra rischiano gli equilibri di governo: se andrà male potremmo assistere ad un logoramento interno con riflessi sui progetti di riforma e sulla tenuta del governo stesso.