L’economia italiana sta rallentando. La certezza è arrivata in settimana con l’approvazione, in Consiglio dei ministri, della NADEF, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) del 2023.
Il Def è il principale strumento di programmazione economica del governo (obiettivi economici triennali, stime dell’andamento dell’economia nazionale e riforme che si vogliono attuare) e viene presentato ad aprile, la Nadef invece viene presentata entro il 27 settembre, è prodromica alla legge di bilancio e consiste in un aggiornamento delle previsioni contenute nel Def, sulla base della disponibilità di nuovi dati macroeconomici e di finanza pubblica.
Nel Nadef approvato mercoledì scorso il governo conferma il taglio del cuneo fiscale, l’avvio della riforma fiscale con la riduzione delle imposte per i redditi più bassi, le politiche di sostegno per le famiglie, le misure a favore della natalità e i fondi per i rinnovi dei contratti di lavoro nel pubblico impiego, a cominciare dalla sanità. Le risorse saranno recuperate aumentando l’indebitamento del prossimo anno. E qui arrivano le preoccupazioni.
Per il 2024 si prevede un deficit del 4.3% (indica la quantità di debito aggiuntivo fatto dal governo per finanziare una legge e si misura in percentuale di Pil), più alto rispetto al 3.6% previsto ad aprile, e significativamente superiore al 3% imposto dal Patto di stabilità, che tornerà in vigore dal primo gennaio del prossimo anno dopo la sua sospensione causata dal Covid. Questo indebitamento porta sul tavolo 14 miliardi di euro da utilizzare per la legge di bilancio 2024, la cui entità si aggirerà intorno ai 30 miliardi.
La Nadef, inoltre, fissa il Pil all’1.2% per il 2024 (rivisto al ribasso rispetto al Def) con un debito pubblico previsto a quota 140.1% del Pil. Più alto rispetto alle previsioni di aprile.
Nonostante questi dati economici il ministro dell’Economia Giorgetti ha espresso fiducia nella comprensione della situazione da parte della Commissione europea, considerando l’impatto delle politiche monetarie restrittive (con l’aumento dei tassi di interesse) e la guerra in Ucraina. Il ministro, inoltre, ha spiegato come questi dati siano destinati a migliorare negli anni successivi. Il giudizio di Bruxelles non arriverà comunque prima del 15 ottobre prossimo.
I conti, dunque, non tornano neanche quest’anno, e anche in questa occasione si ricorre al debito per finanziare degli interventi con la promessa che in futuro andrà meglio. All’Italia serve una discesa stabile e credibile del debito pubblico, altrimenti verremo superati anche dalla Grecia, e saremo lasciati nella posizione di Paese europeo con il debito pubblico più alto in proporzione al Pil.
Il ministro Giorgetti ha sottolineato il ruolo del Superbonus nel frenare il calo del debito. In effetti è stata una mazzata. A mio avviso un altro fattore che ci portiamo dietro da anni è il peso crescente della spesa pensionistica. L’INPS è ormai in eterna difficoltà a fare fronte alle esigenze di una popolazione sempre più anziana, ad una scarsa natalità e ad un’occupazione che non decolla. I cittadini sono costretti a lavorare di più per pagare la pensione a persone che, in passato, sono andate in pensione in giovane età.
A tal proposito mi viene da sorridere quando si parla dei politici del passato (paragonandoli a quelli attuali) come dei lungimiranti statisti: si sono mangiati tutto quello che c’era da mangiare. Sei statista se pensi alle generazioni future, e loro non lo hanno fatto.
Adesso per un Paese come il nostro, indebitato fino al collo, resta solo da revisionare la spesa pubblica già esistente, con tagli a 360 gradi, a partire dalla spesa dei ministeri, come giustamente questo governo intende fare. Le elezioni europee del prossimo anno non devono portare alla tentazione di sperperare soldi per una spesa cattiva, utile ad assecondare i cittadini per ottenere più voti. Non ce lo possiamo più permettere.
Servono rigidità e spese mirate, e buon senso anche da parte dei cittadini. Va superata la fase delle mance elettorali, dei vari bonus e Superbonus. Vanno bene per un breve periodo, per tamponare, poi però bisogna fare crescere gli indici economici, altrimenti sarà l’Europa a presentarci un conto salato. A quel punto servirà poco sbraitare contro un patto di stabilità troppo rigido. Ci sono delle regole (meno male), vanno rispettate.