La novità della settimana è l’accordo tra Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi. Il primo in realtà aveva inizialmente trovato l’intesa con il Pd di Enrico Letta, ma poi ha deciso di rimanere fuori dalla coalizione di centrosinistra.
A mio avviso le motivazioni della rottura sono sostanzialmente due.
La prima è il comportamento del leader dem Enrico Letta, che sta creando un’ammucchiata di partiti a causa del meccanismo della legge elettorale Rosatellum che favorisce le coalizioni, specialmente all’interno dei collegi uninominali, dove, come spiegato domenica scorsa, si gioca davvero la partita.
Letta in realtà non ha mai smesso di strizzare l’occhio al M5S, perché, sondaggi alla mano, conviene di più un’alleanza con i grillini che con Calenda. Il leader di azione, da sempre avverso al M5S, lo ha capito e si è defilato. L’adesione di Di Maio e di Fratoianni (Sinistra italiana) all’idea di Letta ha poi ulteriormente favorito la rottura. D’altra parte parliamo di programmi per certi versi diametralmente opposti, dagli inceneritori al Reddito di cittadinanza.
Calenda ha rotto il matrimonio con il Pd anche per un altro motivo. Attualmente solo un elettore su tre sa chi votare. Potrebbero esserci tanti moderati in cerca di una casa che ancora non c’è. I loro voti fanno gola, e non conveniva lasciarli a Matteo Renzi che aveva deciso di correre da solo e occupare lo spazio di centro. Da qui la decisone di allearsi con Italia Viva e sperare di intercettare la grande fetta dell’elettorato ancora indeciso, pescando, magari, anche tra gli elettori moderati del centrodestra. Non a casa a loro piace farsi chiamare “Terzo Polo”.
Calenda dunque alle prossime elezioni correrà con Renzi, non sarà una coalizione ma una lista unica. Nel simbolo ci sarà il nome di Calenda, a cui va quindi la leadership della lista. I due sono sono stati già insieme al governo, Renzi come premier, Calenda come ministro dello sviluppo economico.
Il loro rapporto ha sempre avuto alti e bassi, tuttavia hanno molti punti in comune: i programmi, l’appartenenza allo stesso gruppo europeo, l’avversione verso il M5S, e soprattutto il desiderio di riportare Draghi a Palazzo Chigi.
Quest’ultimo obiettivo potrà essere raggiunto solo impedendo una vittoria schiacciante della destra e arrivando alle larghe intese. A quel punto il nome di Draghi tornerebbe ad essere quello più unificante, tenendo conto del fatto che i parlamentari spingeranno alla formazione di un qualsivoglia governo purché non si torni di nuovo al voto (la solita manfrina).
A che percentuale può aspirare il Terzo Polo? Per alcuni sondaggisti Azione parte dal 5-6% e Italia Viva dal 2-3%, e insieme potrebbero ancora crescere e superare il 10% (in questo caso si potrebbe parlare davvero di Terzo Polo). Per altri istituti di ricerca la lista unica è al di sotto del 5%, con poche possibilità di essere incisiva. A mio parere molto dipenderà dalla spazio che intendono dargli i media (politicizzati), dalla stampa alla tv, spesso determinanti in queste occasioni, e da quanta paura possa fare un possibile cappotto della destra.
Concludo con le candidature. Cominciano ad apparire nomi altisonanti e rumorosi, da Cottarelli (Pd) a Ilaria Cucchi (Sinistra italiana). È stato sondato anche il professore Bassetti, luminare ed esperto di malattie infettive. Ho sempre seguito con attenzione le sue interviste durante la pandemia, sempre interessanti e convincenti.
Meno felice a mio avviso la sua risposta in merito ad uno suo possibile impiego come ministro della Salute: “sono disponibile, serve un infettivologo”. Sicuramente potrebbe essere un ottimo ministro, ma che c’entra l’infettivologia? È come dire che al ministero dello Sviluppo serva Briatore, o ai Trasporti un capotreno.