Mario Draghi si è dimesso. La decisione è stata presa dopo il voto di fiducia al Senato, dove oltre al M5S (coerente con quanto avvenuto alla Camera qualche giorno prima), non hanno votato Lega e Forza Italia (che chiedevano una maggioranza senza il Movimento grillino, considerato inaffidabile). Il governo ha così ottenuto solo 98 sì e 38 no: la fiducia c’è stata, la maggioranza non più.
Draghi a questo punto si è recato al Colle e ha presentato le sue dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che valutando il voto in Senato e l’orientamento dei partiti, ha capito che non c’era più spazio per formare altre maggioranze. Il Capo dello Stato ha così firmato il decreto di scioglimento delle Camere e sancito la fine anticipata della XVIII legislatura.
Si andrà al voto domenica 25 settembre (dallo scioglimento delle Camere le elezioni devono essere indette entro massimo di 70 giorni e non prima di 60, per consentire la presentazione delle liste e una giusta campagna elettorale). Il governo Draghi, intanto, rimarrà in carica per il disbrigo degli affari correnti, con un perimetro di azione notevolmente ridotto.
L’epilogo è stato a mio avviso tra i più tristi, con un comportamento irrispettoso dei partiti verso una persona di alto profilo istituzionale che tutto il mondo ci invidia. Le cose andavano bene ma bisognava farle andare male. Si è trattato di un film già visto.
Lo scrissi qualche giorno dopo l’insediamento di Mario Draghi a Palazzo Chigi: succederà come con Mario Monti, prima acclamato come il salvatore della patria, e poi allontanato, con una tempistica tale da garantire il diritto al vitalizio. E così è stato.
Il film però non finisce qui. Sulle ali dell’entusiasmo mi azzardo ad anticipare cosa succederà in futuro.
Alle prossime elezioni, causa legge elettorale farlocca (e forse comoda), non ci sarà alcun vincitore, come già successo nelle ultime due legislature, dove non è stato eletto nessun premier indicato dagli elettori o candidato dai partiti. Si sono succeduti nell’ordine Letta Renzi Gentiloni Conte Conte Draghi. Nessuno immaginava alla vigilia che questi sei personaggi avrebbero guidato l’Italia per circa 10 anni. E invece è andata proprio così.
Alle prossime elezioni sarà uguale: non ci saranno vincitori, si farà l’intesa e diventerà premier un esponente politico di secondo piano del partito che prenderà più voti. Regnerà così la caciara, come al solito.
Alle elezioni politiche del 2013 il Partito Democratico candidò Bersani premier, non vinse, si fece l’accordo col PdL, e divenne premier Enrico Letta. Successivamente Matteo Renzi, con una manovra che ha diviso l’opinione pubblica, prese il suo posto. Dopo Renzi arrivò il turno di Gentiloni premier. Il Parlamento in quella legislatura ha sempre tenuto, bisognava essere comunque responsabili fino ai 4 anni, 6 mesi e un giorno, tempo necessario per maturare il diritto al vitalizio.
Passiamo alle elezioni del 2018: nessun vincitore, primo partito il M5S, che aveva candidato come premier Luigi Di Maio. Per l’ingovernabilità determinata dalla legge elettorale si è arrivati di nuovo alle larghe intese, e dall’accordo Lega-M5S è venuto fuori l’avvocato Giuseppe Conte, fino ad allora un perfetto sconosciuto nel mondo della politica.
Al primo governo Conte è succeduto un Conte bis con cambio della maggioranza (M5S-Pd). Terminato il secondo governo Conte, si era capito che la combinazione (alcuni li chiamano giochi di palazzo) per un’altra alleanza avrebbe rasentato il ridicolo. Però non si poteva andare a votare in anticipo. I tempi non erano ancora maturi per l’acquisizione del diritto alla pensione.
A questo punto si è pensato, quindi, di fare un calderone con tutti dentro e affidare la guida ad un tecnico: Mario Draghi. L’incarico è stato dunque affidato con un cronometro. Pazzesco.
Alle prossime elezioni andrà di nuovo così: FDI candiderà come premier Giorgia Meloni, la Lega Salvini, il Pd Letta, il M5S Conte (forse, se non si spaccano prima), FI Berlusconi, il centro Draghi (non credo accetterà) o Calenda. Non vincerà nessuno come al solito e verrà fuori il nome di un politico di secondo piano del partito che arriverà primo, com’è successo nelle due legislature precedenti. Quindi si partirà con un governo politico, e si terminerà con quello tecnico.
Cambieranno i governi ma non il Parlamento. Ovviamente durante la legislatura saranno tutti “responsabili” fino al raggiungimento dell’obiettivo, per cui niente elezioni. Giunti al traguardo, tutti a invocare elezioni subito, chi se ne frega se le agenzie di rating annunciano incertezza, se devono essere portati a termine degli adempimenti essenziali per il nostro Paese ecc.
Quando guardiamo all’estero notiamo come i leader di Stato durino tanti anni, Macron in Francia, la Merkel in Germania. La governabilità e la stabilità portano a ottimi risultati e rendono più credibili. In Italia siamo arrivati invece alla sessantasettesima crisi in sessantacinque anni. Io credo che si dovrebbe riflettere su questo, trovare una soluzione e cambiare la trama del film, che da comico rischia di diventare tragicomico.