Gli Stati Uniti d’America hanno scelto il loro 47esimo Presidente della loro storia: Donald Trump. Il tycoon ritorna alla Casa Bianca con una valanga di voti, con una vittoria schiacciante che ha del miracoloso se si considerano la sconfitta del 2020, le ostilità all’interno del suo partito e le vicende giudiziarie che lo hanno riguardato.
Kamala Harris ha perso perché rappresenta la continuità con l’attuale amministrazione democratica, di cui gli americani sono insoddisfatti soprattutto per le difficoltà economiche legate all’inflazione e al costo della vita.
Trump ha vinto facilmente andando a toccare i nervi scoperti: stop all’inflazione, all’immigrazione clandestina e alle guerre, con la promessa, sullo sfondo, del taglio delle tasse, verso le quali gli americani hanno storicamente una repulsione.
L’interesse europeo e mondiale verso queste elezioni era però legato ad altri aspetti: come cambieranno i rapporti con l’Europa? Cosa cambierà sul fronte delle guerre?
Per quanto riguarda il rapporto con l’Europa va considerato innanzitutto lo slogan di Donald Trump, America first (prima l’America), che già dal nome lascia intendere quali potrebbero essere le sue decisioni politiche ed economiche. Per diversi analisti, infatti, Trump è un isolazionista, a cui dell’Europa interessa poco o nulla.
In campagna elettorale ha promesso l’applicazione di dazi sulle merci straniere in vendita negli Stati Uniti, comprese quelle europee, e ha parlato della NATO come di un’alleanza sbilanciata, in cui i paesi europei approfitterebbero della protezione degli Stati Uniti (il cosiddetto ombrello americano). Da qui la richiesta di un maggior contributo dei paesi membri alla NATO, con aumento delle spese militari da parte di tutti, altrimenti potrebbe addirittura verificarsi un disimpegno USA dall’Alleanza stessa.
A mio avviso è davvero arrivata l’ora di una maggiore compattezza europea, l’ora della consapevolezza e della responsabilità. L’Europa in questo momento storico è debole economicamente e politicamente, con il rischio di elezioni anticipate in Germania, con una fragile leadership del presidente Macron in Francia e con una leader forte in Italia che si scontra con le istituzioni europee più orientate a sinistra. Il nuovo corso americano potrebbe fare finalmente suonare la sveglia e spingere i paesi europei a non anteporre i propri interessi a quelli dell’Europa, procedendo uniti e compatti.
Sul fronte delle guerre Donald Trump si è presentato in campagna elettorale come il pacificatore che tutto il mondo sta aspettando. Ha detto che risolverà la questione delle guerre in poco tempo, ma si rifiuta di spiegare come farà.
Per quanto riguarda l’Ucraina la sua intenzione sembra essere quella del negoziato, ma a quali condizioni? Trump non considera la difesa di Kiev interesse nazionale americano, e in questi mesi si è mostrato poco propenso a proseguire la politica di aiuti militari ed economici per l’Ucraina. La minaccia di bloccare gli aiuti a Kiev potrebbe in realtà essere uno strumento per indurre Zelensky ad accordarsi con la Russia, a condizioni vantaggiose per Mosca: cedere territori e non entrare nella NATO.
A quel punto l’Europa cosa farà? Accetterà o unirà le forze per sopperire agli aiuti garantiti dagli USA al fine di stoppare le possibili mire espansionistiche di Putin? Come dicevamo prima: per l’Europa è arrivata l’ora della consapevolezza e della responsabilità.
Capitolo guerra in Medioriente: la nuova amministrazione sarà maggiormente filoisraeliana, e Trump è da sempre molto vicino a Netanyahu. Tuttavia l’idea del neo presidente USA in merito al conflitto è davvero indecifrabile: incoraggerà un cessate il fuoco o spingerà velatamente Israele ad attaccare l’Iran?
Quest’ultimo è considerato dagli americani un elemento dell’asse del male, completato da Cina, Russia e Corea del Nord. Vedere l’Iran all’angolo, con Israele pronto a finirlo, senza l’intervento della Russia impegnata in un altro fronte, aumenta la tentazione di non interferire più di tanto nella volontà di Netanyahu di raggiungere il proprio obiettivo. Vedremo.
Concludo con lo staff di Kamala Harris che subito dopo la sconfitta ha accusato l’attuale presidente Joe Biden di essere il vero responsabile delle debacle per essersi ritirato troppo tardi dalla corsa alla Casa Bianca. Questo atteggiamento si chiama irriconoscenza. Biden, che poteva scegliere chiunque come suo possibile successore (a mio avviso Michelle Obama avrebbe avuto più chances di vittoria), ti ha onorato di questa candidatura prestigiosa, vieni sconfitta sonoramente e cosa fai? Lo accusi? Vergognoso.