Le Regioni hanno chiesto a gran voce di non conteggiare nel bollettino che viene diffuso ogni giorno i positivi asintomatici, che rappresentano circa il 70% del totale, e di fare una distinzione tra ricoverati con sintomi Covid e ricoverati positivi ma in cura per malattie diverse.
Il Comitato tecnico scientifico ha espresso parere negativo per evitare di limitare la capacità di identificare le varianti e per potere monitorare meglio la circolazione del virus nel tempo. Va bene. Però la campagna vaccinale ha sortito effetti importanti, le cose rispetto al passato sono cambiate, basta guardare i posti occupati nelle terapie intensive: 1600 su 2 milioni di positivi contro i 4000 su 100 mila positivi nel 2020.
È giunta l’ora, quindi, di affrontare il problema da un’ottica differente e semplificare la vita ai cittadini. Ci avviciniamo ad una situazione di convivenza con il virus, all’endemicità della malattia, che sicuramente non va paragonata ad un raffreddore, ma che per gli immunizzati potrebbe avere effetti simili all’influenza di stagione. Le decisioni vanno prese soffermandosi essenzialmente sui dati delle ospedalizzazioni e delle terapie intensive, meno su quelli dei contagiati, ormai tantissimi a causa di una vera propria psicosi da tampone.
Personalmente credo che vadano date delle indicazioni precise su chi debba fare il tampone. Ci sono persone che lo eseguono per semplice curiosità, altre che fanno il giro di 3-4 farmacie diverse nella stessa giornata per la convinzione di essere positive, altre ancora perché sono venute a conoscenza della positività di amici con cui hanno trascorso una serata insieme 5-6 giorni prima. Potrei continuare. Il tutto crea difficoltà a chi il tampone deve eseguirlo per una reale necessità e non trova posto in nessuna farmacia o laboratorio. A questo si aggiunga la bocciatura dell’emendamento su tamponi eseguibili in parafarmacia.
A mio avviso tanti tamponi imposti non hanno più motivo di essere tali. È una fase di forte circolazione del virus, nessun sistema di tracciamento riuscirebbe a reggere. Le cose, come detto prima, sono cambiate e per rispetto verso coloro che hanno scelto di vaccinarsi, è importante semplificargli la vita e condurli verso una quasi normalità. Invece siamo ancora qui a ingarbugliarci tra certificazioni, tamponi, comunicazioni con Asl, scuola e datori di lavoro. Un ginepraio a mio parere evitabile, visto lo sviluppo positivo della campagna vaccinale.
Io addirittura non considererei più neanche i contatti stretti. Dobbiamo considerarci tutti positivi, se siamo asintomatici ricorriamo alla mascherina e al distanziamento e non eseguiamo alcun tampone. A che serve? A chiuderci in casa per 10 giorni? In alcuni Paesi, tra cui gli Stati Uniti, i positivi (non i contatti stretti) al Covid asintomatici escono di casa senza fare il tampone già dopo 5 giorni di isolamento (per la teoria secondo cui un asintomatico dopo alcuni giorni dalla positività non sia più contagioso).
Da noi siamo ancora alle quarantene di massa per i contatti stretti, basti pensare alla Lombardia la settimana scorsa: mezzo milione di persone in quarantena. Un’enormità.
Per non parlare del calvario scuola. Io era per la riapertura, ma non così. Non si possono mettere in quarantena per 10 giorni bambini asintomatici di intere classi (con tutti i disagi per i genitori e i mancati introiti delle attività produttive che si vedono saltare di continuo le prenotazioni di intere famiglie) con tampone finale (immancabile) per il solo fatto che ci sono due bambini positivi in classe. Dad si, quarantena no. Se arriveranno i sintomi si farà un tampone.
È giunto il momento di cambiare le regole sul Covid, e rivedere ulteriormente la quarantena, che di questo passo potrebbe meglio essere definita “Netflix”.