Si tratta di una guerra tra due popoli che si contendono, storicamente, la stessa terra. Da una parte ci sono gli arabi palestInesi, dall’altra gli ebrei israeliani.
Il territorio sede del conflitto, all’origine turco ottomano, divenne nel 19esimo secolo una colonia britannica. Gli inglesi però ebbero un serio problema: da una parte subivano pressioni dai nazionalisti palestinesi che consideravano quel territorio appartenente ai suoi abitanti arabi palestinesi, dall’altra c’erano pressioni da parte del movimento politico-religioso sionista che mirava a creare uno stato indipendente che offrisse agli Ebrei dispersi nel mondo una patria comune, individuando in quella stessa terra, già abitata da un altro popolo, il luogo dove sarebbe dovuto sorgere.
Il conflitto tra i due popoli andò avanti, con la Gran Bretagna costretta ad assistere quasi inerme alle violenze tra ebrei e palestinesi. Gli inglesi a questo punto, disimpegnandosi (anche perché erano diventati vittime di attacchi terroristici), chiesero aiuto all’ONU per risolvere la situazione.
Dopo la seconda guerra mondiale e lo sterminio di 6 milioni di ebrei, l’ONU decide di spartire il territorio in due aree, proclamando, di fatto, la nascita dello stato di Israele (1948). Apriti cielo. I palestinesi erano contrarissimi, sia per il territorio assegnatogli, leggermente meno esteso, sia per la nascita dello stato ebraico israeliano, considerato un’occupazione ingiusta di una terra che loro abitavano da secoli. Da allora ci sono state diverse guerre tra Israele e organizzazioni paramilitari palestinesi, prime tra tutte Hamas.
Nel tempo le ostilità e le violenze per accaparrarsi più territorio si sono alternate a negoziati di pace, favoriti dall’intermediazione internazionale. Tra gli accordi di pace va citato quello di Oslo del 1993 che riconosce alla Palestina due territori non continui: la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Il processo di pace però non si è mai concluso, con scontri e guerre che si ripresentano ad intermittenza. Ci sarebbe da aggiungere che i popoli in questione sono sostenuti da diverse potenze mondiali. Tra tutte cito l’Iran che sostiene gli arabi palestinesi, e l’America (ostile all’Iran) più vicina ad Israele. Preferisco però non addentrarmi nella questione per non renderla ancora più complessa.
Parlavamo di scontri ricorrenti. Nelle ultime due settimane c’è stata una guerra tra Israele e i gruppi armati della Striscia di Gaza, che ha provocato la morte di circa 240 palestinesi e 12 israeliani. La causa della ripresa degli scontri è da ricondurre alla questione Gerusalemme, città sacra per ebrei, cristiani e musulmani. Si tratta di una città da sempre contesa dagli israeliani e dagli arabi palestinesi. Entrambi i popoli la vorrebbero come capitale del proprio stato. I negoziati succedutisi nel tempo hanno diviso la città in due parti: la parte ovest appartiene agli israeliani, quella est ai palestinesi.
In questi giorni alcune comunità di ebrei, che si erano allontanate da un quartiere di Gerusalemme est (Palestina) durante la seconda guerra mondiale, sarebbero dovute entrare in possesso, per la legge israeliana, dei loro antichi territori, sfrattando intere famiglie di palestinesi. Da qui le tensioni crescenti e la guerra delle ultime due settimane. Tre giorni fa, grazie alle pressioni esercitate dai leader mondiali su entrambe le parti, si è arrivati ad un cessate il fuoco. Speriamo duri.
A mio avviso le tensioni sono destinate a non finire, almeno fino a quando la comunità internazionale non deciderà di intervenire con decisione. I paesi dell’UE non hanno una posizione comune. Alcuni (Svezia e Lussemburgo) sostengono i palestinesi, i governi dell’Europa dell’est sostengono Israele, mentre la maggior parte, tra cui l’Italia (figuriamoci), si dichiara neutrale. Quest’ultima posizione porta ad un immobilismo diplomatico ormai inammissibile.
Le violenze che si consumano in quei territori possono rappresentare la miccia che potrebbe innescare un conflitto ben più pericoloso. L’America non aiuta. Trump ha spostato l’ambasciata americana da Tel Aviv (capitale israeliana) a Gerusalemme, legittimando così le posizioni israeliane. Biden ha confermato la scelta. Per gli americani la vera capitale israeliana è Gerusalemme.
Tra qualche mese sarebbe auspicabile un nuovo accordo. Al tavolo dovrebbero sedersi i grandi della Terra, e cercare di far arrivare i due popoli ad elezioni serie, che in Palestina mancano da 2006 (vengono indette e poi non si fanno) mentre in Israele sono state fatte ma non hanno portato mai ad una maggioranza stabile. C’è crisi politica interna e il sopravvento di gruppi paramilitari e religiosi. Questo rende difficili anche le comunicazioni ufficiali con questi popoli.
Concludo. Storicamente il compromesso è stato trovato, la terra è stata divisa. La ripartizione però non è piaciuta. Che fare? Ristabiliamo i confini. Sicuramente una nazione con due territori discontinui geograficamente e con in mezzo un nemico storico, non aiuta. Io ripartirei proprio dal ridisegnare la geografia.