
Ramy Elgami era un ragazzo egiziano di 19 anni, da tanto residente in Italia, morto a novembre scorso a Milano, schiantandosi contro un palo, mentre era a bordo di uno scooter guidato dall’amico 22enne tunisino Fares Bouzidi e dopo un inseguimento di 8 chilometri da parte dei carabinieri.
Dopo la sua morte il clima è diventato incandescente: prima sono scoppiate tensioni e violenze nel quartiere Corvetto di Milano, poi sono circolati diversi video dell’inseguimento, quindi in diverse città italiane molti giovani sono scesi in piazza per protestare contro l’accaduto e chiedere verità e giustizia. Per i carabinieri il giovane è caduto dallo scooter in seguito ad una manovra azzardata, per i legali di Ramy si è trattato di uno speronamento volontario.
Sono così partite le indagini con la perizia chiesta dalla Procura che scagionava i due agenti. Per il consulente tecnico del Pm, infatti, l’operato del conducente dell’autovettura dei carabinieri era conforme a quanto prescritto dalle procedure in uso alla forze dell’ordine. Lo scooter andava ad alta velocità, ha slittato sulle rotaie del tram e ha incrociato la traiettoria di marcia della gazzella dei carabinieri. A quel punto c’è stato un piccolo contatto, quasi impercettibile, che era assolutamente inevitabile. Dunque nessun speronamento, ma uno sbandamento dello scooter che va contro la gazzella.
In questi giorni la Procura di Milano ha chiuso le indagini ed è arrivata la doccia fredda per il carabiniere alla guida: notificato non solo all’amico di Ramy ma anche al carabiniere che guidava l’auto nell’inseguimento, per il reato di omicidio stradale, un avviso di conclusione delle indagini, preliminare alla richiesta di rinvio a giudizio da parte del GIP, salvo controdeduzioni difensive entro 20 giorni in grado di fare cambiare idea alla Procura.
Al primo viene contestata una colpa specifica: non essersi fermato all’Alt, essere senza la patente e la fuga ad alta velocità, a tratti contromano. Il ragazzo era positivo alle sostanze stupefacenti ma non gli è stata contestata la guida sotto effetto di droga per l’impossibilità a stabilire in ospedale il quantitativo esatto e se avesse assunto quegli stupefacenti la sera dell’incidente o tempo prima. Al carabiniere invece viene contestata una colpa generica per mancato rispetto delle regole di comune prudenza e diligenza: per il pm il carabiniere nell’inseguimento era troppo vicino allo scooter, a un metro e mezzo, quindi a una distanza inidonea a prevenire collisioni con il mezzo in fuga, e poi la lunga durata dell’inseguimento (ben 8 minuti) destinata a inficiare le capacità del carabiniere di concentrazione nella guida e di reazione.
In sostanza siamo davanti ad una decisione della Procura che contraddice, almeno per quanto riguarda l’inevitabilità dell’impatto, la ricostruzione dei fatti elaborata dai periti della Procura stessa. Fares e il carabiniere sono ritenuti corresponsabili della morte di Ramy, tuttavia da una parte abbiamo uno che correva per fare rispettare la legge che regola il vivere civile mentre dall’altra parte c’era uno che correva per calpestare quella stessa legge.
Come si fa a mettere sullo stesso piano uno che anziché fermarsi al posto di blocco fugge, mettendo a rischio la propria vita e quelle degli altri, guida contro mano ad alta velocità, senza patente, positivo alle droghe, noto alle autorità per precedenti penali (furto, rapina, scippo, possesso di droga e ricettazione) e uno che aderendo al proprio dovere non ha mai mollato l’inseguimento, a rischio della propria incolumità?
Se decidi di non fermarti all’Alt hai deciso anche di assumerti un rischio, quello di farti male o morire, e hai deciso l’assunzione dello stesso rischio anche da parte del carabiniere che per dovere ti insegue. Perché non viene contestato all’amico di Ramy il pericolo procurato alla vita del carabiniere? Evidentemente perché è un suo dovere inseguire il malvivente.
Al carabiniere viene contestata la durata dell’inseguimento e la distanza dallo scooter, elementi che non sono stabiliti per legge da nessuna parte. Per me invece per gli stessi motivi andrebbe elogiato. Il militare non ha mollato per un attimo la persona in fuga, senza mai speronarlo e facendogli sentire il fiato della legalità e dello Stato sul collo, e gli è stato vicino per non perderlo di vista, rischiando la propria vita a causa della guida spregiudicata ed estremamente pericolosa della persona in fuga.
Un giorno un carabiniere mi raccontò di un inseguimento durato poco meno di 3 minuti e mi disse che gli erano sembrati un’eternità. In quei momenti il rischio di perdere il controllo dell’auto, andare a finire in un burrone o sbattere contro un palo è molto alto, senza mai perdere di vista le persone che si trovano nelle vicinanze. Nel caso di Ramy l’inseguimento è durato 8 lunghissimi, infiniti minuti, un tempo in cui ti passano davanti agli occhi tutti i tuoi familiari e le persone a cui vuoi bene, sai di rischiare, ma sai anche che stai assumendo un comportamento che la maggior parte dei cittadini si aspetta da un tutore dell’ordine e della sicurezza.
Allargando il discorso alle attuali condizioni operative delle forze dell’ordine, queste sono purtroppo estremamente difficoltose. Scene di aggressioni, insulti, provocazioni, sputi a danno delle forze dell’ordine, o scene di carabinieri che arretrano davanti a dei malviventi minacciosi sono ormai all’ordine del giorno.
La paura dei tutori dell’ordine di essere denunciati (con immediate conseguenze amministrative ed economiche a prescindere dall’esito dei procedimenti) o di non espletare in modo corretto le proprie funzioni (con riprese video dei passanti in ogni contesto operativo) li fa operare in un clima di preoccupazione che rischia di minare la loro motivazione ed efficienza.
A mio avviso servono delle procedere operative stabilite da norme precise e chiare. Il poliziotto quando sta in strada deve sapere quello che può fare e quello che non può fare. È fondamentale assicurargli delle condizioni che lo facciano operare serenamente, meglio se con garanzie e tutela legale da parte dello Stato.
A tutti noi piacciono le parate militari, i festeggiamenti delle ricorrenze ecc, ma non dobbiamo mai perdere di vista che l’Istituzione, e quindi lo Stato e la Legge, sono i due carabinieri, finanzieri o poliziotti che girano in pattuglia nei posti più disparati, pronti ad intervenire di iniziativa o su chiamata, 24 ore al giorno. Lo Stato percepito dal cittadino, in quel momento, è in quell’auto, e non può essere puntualmente sfidato a cuor leggero come succede oggi.
Il malvivente non dovrebbe essere neanche sfiorato dalla sensazione di avere lo Stato dalla sua parte nelle fasi di concitazione con le forze dell’ordine. Dovrebbe al contrario essere consapevole che oltraggiare una divisa gli costerà carissimo. La percezione di protezione da parte dello Stato dovrebbe averla il tutore dell’ordine, in ogni situazione. È oggi, purtroppo, non è proprio così.
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