Approvato dal Senato il disegno di legge sull’autonomia differenziata, proposto dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli.
Il ddl consente alle regioni di legiferare su 23 diverse materie fra cui sanità, istruzione, trasporti, finanza pubblica, sistema tributario, energia ecc., su cui attualmente la competenza è dello Stato centrale.
Il provvedimento, varato dal governo a metà marzo, passa ora alla Camera per il via libera definitivo, oppure potrebbe successivamente tornare al Senato qualora fossero introdotte delle modifiche. La Lega, tuttavia, spera che il provvedimento diventi legge prima delle elezioni europee del 9 giugno.
L’autonomia di gestione da parte delle Regioni sarà concessa solo dopo avere definito i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP), cioè i servizi minimi che lo Stato deve comunque garantire a tutti i cittadini, in maniera uniforme, su tutto il territorio nazionale e che riguardano settori fondamentali quali la scuola, i trasporti o la sanità. I LEP e il loro finanziamento, che sono ancora in corso di definizione, servono a ridurre il più possibile le differenze tra le regioni più ricche e quelle più povere.
Il finanziamento delle funzioni delegate alle regioni è basato sulle compartecipazioni: prima si calcola quanto lo Stato spende attualmente in quella determinata regione per quella funzione, e poi si attribuisce alla regione una compartecipazione al gettito incassato da uno o più tributi nazionali (ad esempio l’Irpef) nella regione stessa.
In sostanza si dà una percentuale del gettito in modo da garantire alla regione gli stessi soldi spesi dallo Stato per quella funzione. Se il gettito aumenta le risorse extra rimangono alla Regione, se invece il gettito diminuisce lo Stato metterà la differenza.
I sostenitori dell’autonomia differenziata ritengono che trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio si traduca in una fornitura di servizi migliori ai propri cittadini, per cui le regioni sarebbero più responsabilizzate e cercherebbero di essere più efficienti. I contrari alla legge invece sostengono che il meccanismo delle compartecipazioni possa avvantaggiare le regioni con una base imponibile più elevata, accentuando le già presenti disparità sociali e territoriali del Paese.
In questi giorni sono stati espressi tanti pareri in proposito, quasi tutti incentrati su chi ci guadagna e su chi ci perde, pensando poco agli interessi del nostro Paese nel suo complesso.
Mi viene ad esempio da pensare alla diversità delle norme regionali che costringerebbero lavoratori e imprese a doversi confrontare con burocrazie differenti (autorizzazioni, certificazioni ecc.), con conseguente impatto sulla produttività e sulla concorrenza internazionale. Si ridurrebbe, inoltre, il controllo su una parte della spesa pubblica, fondamentale per una programmazione virtuosa e sempre sotto esame da parte dell’Europa.
Tornando all’Italia a due velocità, mi viene da chiedere al legislatore: perchè questa legge? Davvero crediamo alla favola che il Sud così si responsabilizzi? La cosa che più dispiace è il messaggio che si vuole fare passare, quello di un centralinismo che deresponsabilizza il Sud e che spreca. Il problema non è questo, il Sud non decolla per colpa di chi governa, che non è in grado di creare le condizioni. Quale mancanza di responsabilità? I soldi mancavano prima e mancheranno anche dopo questa legge.
La verità è che si tratta di un provvedimento storico voluto da un partito, la Lega, che attualmente è al 7-10%, con Fratelli d’Italia più tiepida e maggiormente interessata a non avere problemi in futuro con la riforma del premierato. L’Autonomia differenziata, inoltre, fu inserita nel contratto di governo che diede vita al primo governo Conte, che adesso invece critica il provvedimento parlando di “voto scellerato”. Le sinistre, a loro volta, criticano il ddl ma fu proprio Giorgio Napolitano a definire l’Autonomia un’assunzione di responsabilità. Insomma, mettetevi d’accordo, e siate anche voi più responsabili.