Firmato un protocollo d’intesa dal Presidente Giorgia Meloni e dal Premier albanese Edi Rama sulla gestione dei flussi migratori.
L’accordo prevede una collaborazione diretta di Tirana nella gestione di una parte dei migranti che arrivano in Italia, attraverso l’allestimento di due grandi strutture in Albania dove inviare una quota di stranieri salvati in mare (non quelli che arrivano sulle coste), esclusi minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili. I due centri dovrebbero entrare in funzione dalla primavera del 2024 e dovrebbero ospitare 3 mila persone per un flusso annuo di 36 mila.
L’operatività delle strutture sarà sotto la gestione italiana, per cui l’Italia finanzierà i centri, provvederà alla loro costruzione, al trasporto e alla sistemazione dei migranti, mentre le autorità albanesi garantiranno la sicurezza all’esterno dei centri (all’interno ci sarà solo personale italiano) e durante il trasferimento dei migranti.
Una struttura funzionerà come centro di prima accoglienza al porto, deputata all’identificazione dei migranti e alla gestione delle domande di asilo (i migranti vi saranno trattenuti per un massimo di 28 giorni), la seconda struttura funzionerà come un centro per i rimpatri (Cpr), dove i migranti in attesa di rimpatrio potranno essere trattenuti fino a 18 mesi.
Il protocollo, dunque, della durata di cinque anni, ha come obiettivo l’alleggerimento della pressione migratoria sul nostro Paese e il rafforzamento dell’azione di contrasto all’immigrazione illegale.
È stato un accordo che ha colto di sorpresa un po’ tutti, anche gli alleati di governo (c’è chi parla addirittura di una loro silenziosa irritazione). La premier italiana ha lavorato alla costruzione dell’intesa da mesi, ed è stato strategico avere ottenuto nel vertice europeo dei ministri dell’Interno dell’8 giugno scorso che il Regolamento per i migranti prevedesse la possibilità di coinvolgere Stati terzi nelle procedure di frontiera.
Il progetto, però, sembra quasi un’improvvisazione, piena di incertezze.
Dal punto di vista giuridico: come si fa ad estendere la giurisdizione italiana su una porzione di territorio straniero (si tratta di centri italiani su suolo albanese)?
Poi c’è l’aspetto economico: ogni 6 mesi l’Albania comunicherebbe all’Italia i costi sostenuti e la richiesta del rimborso, ballano tanti milioni (16 di anticipo e 100 di garanzia) e i costi veri non sono ancora del tutto prevedibili.
Infine c’è l’aspetto politico, non tanto in casa nostra (le motivazioni delle opposizioni italiane che hanno parlato di “deportazione” reggono poco) quanto in Europa: i paesi dell’Ue ancora non si sono espressi, è in corso una valutazione della fattibilità (viene rispettato il diritto internazionale e comunitario?).
C’è da considerare, inoltre, la reazione degli albanesi, che già parlano di sicurezza interna a rischio e di calo del turismo. Per questo motivo è opinione diffusa che il progetto naufragherà (l’ultima decisone spetterà al Parlamento albanese).
Il presidente Rama dice di averlo fatto per riconoscenza verso gli italiani che da sempre hanno accolto gli albanesi nel proprio territorio, tuttavia sono in molti a credere che il vero obiettivo del leader albanese sia il sostegno dell’Italia a favorire l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea (c’è da considerare, inoltre, il fatto che l’Italia sia il primo partner commerciale dell’Albania).
Qualunque sia la motivazione di questo patto, la nostra Premier ha il merito di provarci. L’idea è stata questa: l’Europa chiacchiera nei vertici internazionali, ormai da anni, per cui è meglio dare un segnale muovendosi da soli. È un tentativo disperato di fare rumore.
La proposta di noi italiani era quella di fare degli hotspot in Africa che fungessero da filtro, a spese dell’Europa. Con l’accordo di lunedì scorso invece stiamo arrivando a fare degli hotspot in Albania (non in Africa) che pagheremo noi italiani. Ora attendiamo la risposta dell’Europa, che a mio avviso sarà ipocritamente positiva.
Ma gli albanesi non ci staranno a diventare il più grande campo profughi d’Europa. Certamente dipenderà dai soldi che gli vengono offerti, il denaro muove il mondo e le coscienze.
Concludo col mio pensiero espresso già in precedenza: apriamo Missioni di pace internazionali (molte targate ONU) in posti dove ormai non ci sono più guerre e dove non muore nessuno da anni, e ci ostiniamo a non andare, anche militarmente, in posti dove non c’è guerra ma c’è disperazione e tortura, e dove muoiono migliaia di persone? L’ONU? I diritti umanitari? La pace nel mondo? Il sostegno alla povertà e alla fame? Sono solo argomenti da Convegni in giacca e cravatta e foto finale di rito.