Nel 1949 a Washington è stata fondata la NATO, un’alleanza militare difensiva (non può dichiarare guerra, ma interviene solo per difendere un paese membro da un eventuale attacco) composta da 31 Stati: 27 europei, la Turchia, la Gran Bretagna, il Canada e gli Stati Uniti.
In settimana si è tenuto un vertice storico di questa Alleanza a Vilnius, in Lituania, con l’obiettivo di dare garanzie di sicurezza all’Ucraina, in guerra da 17 mesi contro l’aggressione della Russia. Durante il vertice si è tuttavia parlato anche delle richieste di ingesso nella NATO da parte della Svezia e dell’Ucraina stessa.
La prima è stata spinta a mettere da parte la tradizionale neutralità proprio dalla guerra in Ucraina, così come fatto dalla Finlandia. Ma mentre Helsinki è stata annessa ad Aprile, la Svezia è stata fermata dal veto del presidente turco Erdogan e del presidente ungherese Orban (l’adesione deve essere approvata e ratificata da tutti i paesi membri). Il veto ungherese in realtà è stato recentemente superato, Erdogan invece ha tirato dritto.
Le sue richieste per il sì alla Svezia sono diverse: una maggiore durezza contro le organizzioni curde ospitate in Svezia, a suo dire di matrice terroristica, la vendita da parte degli USA di 40 nuovi caccia F-16 per potenziare l’aviazione turca, e favorire l’ingresso della Turchia nell’Unione europea.
Negli ultimi mesi si è cercato di accontentare Erdogan, anche se non in tutto, per cui a sorpresa durante il vertice è arrivata una certa apertura all’ingresso del paese scandivano nella NATO. Il presidente turco non ha detto sì esplicitamente ma si è limitato ad annunciare che finalmente farà votare il Parlamento turco sull’adesione della Svezia. In sostanza si va verso un sì.
Personalmente trovo ingiusto che uno Stato utilizzi il diritto di veto per i propri fini politici ed elettorali. Se tutti facessero così cosa succederebbe? È come se l’Italia mettesse il veto alla Svezia in cambio di favori nel fenomeno migratorio. Non si fa. L’ingresso della Turchia nell’Unione Europea è ostacolato da tante motivazioni, non ultima l’intemperanza del suo leader.
Per quanto riguarda l’Ucraina, invece, il presidente Zelensky si aspettava la promessa di un ingresso ufficiale nella NATO una volta che la guerra fosse finita, o quanto meno un piano, una road map precisa, con cadenze temporali ben specificate. In sostanza sperava in una promessa vincolante.
Per i paesi NATO entrambe le richieste erano eccessive, per cui c’è stato un comunicato finale in cui si è scritto che il futuro dell’Ucraina sarà nella NATO, ma “quando ci saranno le condizioni”. Zelensky ha ingoiato il rospo, e solo nell’ultima giornata di lavori ha parlato del vertice come un successo per l’Ucraina.
A mio avviso la promessa di un ingresso dell’Ucraina nella NATO non farebbe altro che dare a Putin un incentivo a continuare questa maledetta guerra, non era assolutamente una cosa fattibile. Se il conflitto terminerà con dei negoziati credo che una delle condizioni poste dal presidente russo, già da anni irritato per l’espansione della NATO ad Oriente, sarà proprio il non ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica.
Trovo opportune, dunque, le conclusioni del vertice, dove l’argomento iniziale era sostanzialmente un altro: come si procede in questo conflitto? I paesi membri hanno deciso di rinnovare l’impegno ad aumentare l’invio di armi e aiuti all’Ucraina, garantendo un sostegno di lungo periodo. La guerra di nervi continua.