A Bruxelles si è tenuto in settimana il Consiglio europeo (composto dai Capi di Stato o di governo dei paesi membri) con diversi temi in discussione, tra cui il sostegno all’Ucraina, il fenomeno migratorio e il Mes (Meccanismo europeo di stabilità).
L’Unione europea si è mostrata compatta sul sostegno all’Ucraina, mentre sugli altri temi sono emerse delle divergenze.
Sull’immigrazione l’Italia ha cantato vittoria troppo presto dopo l’accordo raggiunto l’8 giugno scorso a Lussemburgo dai ministri dell’Interno: maggiore solidarietà europea, ricollocamenti e un fondo di 12 miliardi di euro (che per la premier italiana vanno spesi non solo per garantire la sicurezza sulle coste europee ma anche per la cooperazione con i paesi africani).
Il Consiglio si è chiuso senza adottare conclusioni sull’immigrazione a causa del secco no all’accordo da parte di Ungheria e Polonia, alleati storici del partito della Meloni (la Polonia addirittura fa parte del partito europeo dei conservatori presieduto dalla stessa Giorgia Meloni). Tutto rimandato.
La sensazione è che l’obiettivo italiano di superare la questione tra Paesi di primo approdo e Paesi di movimenti secondari sia ancora lontano. Il governo ce la mette tutta ma il veto di Paesi amici dimostra come prima di tutto vengano gli interessi nazionali, rinforzando l’idea di un’Europa che piace solo quando conviene.
Capitolo Mes (detto anche Fondo salva Stati). Si tratta di un fondo permanente (capitale da 700 miliardi) creato nel 2012 per fornire assistenza finanziaria ai Paesi in crisi e membri dell’Ue. È finanziato dai contributi dei paesi partecipanti in base alla loro quota nel capitale della Bce (l’Italia è il terzo contributore) e può erogare prestiti ai Paesi in crisi, acquistare i loro titoli di debito sui mercati o dare liquidità alle loro banche. In cambio i Paesi beneficiari devono accettare delle condizioni di austerity (ad esempio l’obbligo di ristrutturare il proprio debito).
Nel 2019 è stata approvata una riforma del Mes che per entrare in vigore deve essere prima ratificata da tutti i Paesi membri. In questi giorni l’Europa ci sta esortando a ratificare il Mes, anche se non vogliamo farne uso, in modo da consentire agli altri Paesi di potere accedere al Fondo salva Stati. Tuttavia proprio 2 giorni fa la maggioranza di governo, nella discussione sul ddl di ratifica del Mes, ha presentato una sospensiva di 4 mesi, puntando ad un nuovo rinvio.
Dunque siamo gli ultimi in Europa a non averlo approvato, e ora ci prendiamo altri 4 mesi per una riflessione più profonda. La realtà, a mio avviso, è che di questo Mes hanno paura un po’ tutti. Le opposizioni criticano l’atteggiamento della maggioranza, ma la riforma poteva essere già approvata dai due governi precedenti, e invece non lo hanno fatto. Durante la pandemia, inoltre, c’è stato un Mes sanitario, un linea di credito da spendere per la sanità pubblica: nessuno Stato ha deciso di accedervi.
Il timore è quello di finire in una situazione di dipendenza eccessiva dall’Europa in tutti gli ambiti decisionali. L’Italia purtroppo paga anni di cattiva politica che hanno portato ad un debito pubblico esagerato, per cui teme che con l’accesso al Mes sia l’Europa a gestire il nostro debito, limitando l’azione di governo. Da qui il tentativo di allungare i tempi per la ratifica del Mes in attesa di capire come verrà modificato il Patto di stabilità Ue (che ci dice quanto debito possono fare gli Stati), però credo che non possiamo andare avanti così per tanto tempo ancora, tenendo in scacco tutti gli altri Stati che aspettano la nostra ratifica.
Chiediamo più Europa e critichiamo i signori del no nella gestione dei migranti e poi noi facciamo la stessa cosa per il Mes dicendo no ad oltranza? Non va bene. Prima rarifichiamo la riforma, poi ogni Stato sarà libero di accedere al Fondo salva Stati. L’orientamento, dunque, dovrà essere quello verso un’idea di Europa unita, sempre, non solo quando ci viene comodo.