Settimana convulsa e ricca di tensioni. Il tavolo programmatico tra le forze dell’ex maggioranza organizzato da Roberto Fico, a cui era stato dato un mandato esplorativo da parte di Mattarella, non è andato a buon fine.
A Renzi non andava bene niente, intenzionalmente: il ministro Azzolina, il ministro Bonafede (per la sua riforma che blocca la prescrizione dopo una condanna in primo grado), in no al Mes sanitario, il piano vaccinale che non decolla, il reddito di cittadinanza improduttivo, il Recovery plan.
Fallito il tentativo di Fico il Presidente Mattarella ha convocato al Colle Mario Draghi per conferirgli l’incarico di formare un altro governo. Dal primo giro di consultazioni fatte dall’’ex capo della Bce è emerso una disponibilità generale da parte di tutti i partiti ad eccezione di Fratelli d’Italia. Vedremo che succederà. Sicuramente la storia si ripete: serve un tecnico per mettere una pezza, per sopperire all’incapacità della politica. Voglio riportare una frase che mi ha passato un mio caro amico nonché mio diretto superiore al lavoro, prima del conferimento dell’incarico a Mario Draghi: “faranno fare il lavoro sporco a uno di nessun partito sostenuto da tutti i partiti. Merito di tutti (se le cose andranno bene), colpa di nessuno (se le cose andranno male)”.
Del prossimo governo parleremo tanto in futuro. Ora vorrei soffermarmi su quanto successo in settimana. Il capolavoro di Matteo Renzi. Lo chiamo così volutamente perché quando si trattava di affossare Salvini nel post-Papete si parlava ovunque di capolavoro, ora si parla di obbrobrio. È successa la stessa cosa.
In questa legislatura se c’è una certezza è la seguente: il colore del governo in Italia lo decide Matteo Renzi. Subito dopo le elezioni del 2018, appurata l’ingovernabilità, si cercò di mettere insieme M5S e Pd, sembrava fatta, ma Matteo Renzi fece saltare il banco preferendo andare all’opposizione. Nacque cosi il governo giallo-verde. Poi arrivò la crisi nel 2019, Salvini fu ad un passo delle elezioni, ma anche in questo caso Matteo Renzi si inventò un governo, quello giallorosso. Ora ci sarà il governo Draghi, anch’esso ideato a tavolino da Matteo Renzi.
L’ex rottamatore è politicamente strategico, ma gli avversari o gli alleati, a seconda dei casi, ci hanno sempre messo del loro. Consideriamo questi ultimi giorni. Renzi ha causato la crisi dopo aver convinto i suoi a non vendersi, successivamente, come responsabili, assicurandoli che (conoscendo i suoi polli) comunque non si sarebbe mai andati al voto. M5S, il Pd e Leu, a questo punto, hanno giocato male le loro carte. Bisognava isolarlo, non dargli la soddisfazione del tavolo programmatico (poi fallito) e andare compatti da Mattarella dichiarando espressamente che loro avrebbero voluto un governo senza Renzi, sicuri di raggiungere il numero di senatori necessari (d’altra parte il governo non era stato sfiduciato) altrimenti loro stessi avrebbero votato no a qualsiasi governo, tecnico, politico o di scopo. Partire, dunque, dai 156 voti della fiducia ottenuta in Parlamento: a mio avviso sarebbero passati in tanti con la maggioranza alla solo percezione di un aut aut. Ci sarebbe stata una transumanza, penso anche da parte di alcuni renziani.
Barra dritta su Conte e senza Renzi. C’era il rischio elezioni, ovviamente, ma era il momento del contrattacco. Invece si sono miseramente piegati di nuovo, e puntualmente sono stati bastonati. Sono stati momenti in cui ci voleva pelo sullo stomaco. Renzi lo ha avuto, loro no. E mi fermo al pelo.