È stata la settimana delle discussioni su leader e alleanze.
Nel centrodestra è stato trovato l’accordo sulla leadership, l’ha spuntata Giorgia Meloni: il partito che avrà più voti indicherà il nome del Presidente del Consiglio.
A sinistra domina invece il tema delle alleanze, con il solo obiettivo di non fare stravincere la destra che, sondaggi alla mano, potrebbe per la prima volta guidare il Paese senza dovere ricorrere ad un governo di larghe intese, superando così le difficoltà di una legge elettorale che difficilmente garantisce una governabilità al Paese.
I sondaggi dicono infatti che Fratelli d’Italia sia stimato tra il 23 e il 25%, la Lega sia intorno al 15% e FI all’8.5%. Si tratta di una coalizione dai numeri davvero alti (il Pd è intorno al 22%, il M5S sotto il 10 %, Azione di Calenda al 6%). Questa prospettiva pone la destra in una condizione di vantaggio mentre costringe la sinistra a inventarsi qualcosa per mitigare la sconfitta.
Dopo la crisi di governo scatenata dal M5S e non gradita dal Partito Democratico, è tramontato il progetto del “campo largo” inizialmente ipotizzato da Enrico Letta, che avrebbe dovuto includere i democratici e i pentastellati. Il leader del PD guarda quindi verso il centro sperando nella creazione di un asse da Di Maio a Renzi, da Brunetta a Calenda. Un’ammucchiata. Si tratta di tanti piccoli partiti che insieme ad altri, ancora più piccoli, occupano il centro dello schiarimento parlamentare. Una frammentarietà che non serve a nessuno, tantomeno a loro.
I giochi delle alleanze, dunque, non sono ancora fatti, tuttavia stupisce l’atteggiamento del M5S, che in origine detestava ogni forma di alleanza con i partiti, considerati corrotti e poltronari, mentre in questi giorni sembra quasi supplicare il partito democratico per essere ripreso nel grande calderone.
Per ora è tutto un cantiere, i partiti appaiono non pronti ad affrontare la sfida del 25 settembre, tanto che sbandierano spesso il nome di Draghi nonostante quest’ultimo abbia espressamente chiesto di essere lasciato fuori dalla disputa elettorale. L’attuale premier dimissionario in realtà potrebbe essere chiamato in causa se dalle urne non uscirà un vero vincitore, ed esssre di nuovo il Presidente del Consiglio con una maggioranza uguale a quella attuale senza il Moviemnto 5 stelle. Accetterà? Oppure ambirà al Colle? Vedremo.
Tornando alla campagna elettorale i cittadini stanno assistendo alla mancanza di proposte da parte dei partiti, che pensano alle alleanze e ai calcoli sulle poltrone anziché esternare le proprie idee. D’altra parte viene difficile sottolineare le cose che non vanno quando fino al giorno prima c’erano tutti loro al governo.
Eppure i sondaggi ci dicono che c’è una domanda politica da parte dell’opinione pubblica a cui corrisponde un’offerta non del tutto adeguata. Quindi bisogna attivarsi con i programmi e le proposte, e non affidarsi esclusivamente ai soliti cavalli di battaglia. Salvini intanto ha pubblicato i barconi: la campagna elettorale è ufficialmente aperta.