In settimana c’è stata la prevedibile scissione del Movimento 5 Stelle.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha lasciato il partito, seguito da 61 parlamentari (50 deputati e 11 senatori), e ha dato vita ad un nuovo soggetto politico (del quale sinceramente non sentivamo il bisogno) “Insieme per il futuro”, che dovrebbe avere i numeri per formare un gruppo parlamentare autonomo sia alla Camera che al Senato.
Per Di Maio è stata una “scelta sofferta”, dovuta al comportamento irresponsabile del M5S che a suo dire “continua a picconare il governo per recuperare, senza riuscirci, i consensi perduti”.
Cambiano, dunque, gli equilibri in Parlamento: il M5S smette di essere il gruppo parlamentare più numeroso mentre la Lega diventa la prima forza parlamentare. La maggioranza di governo rimane la stessa, non si è allargata né si è ristretta. Questo induce il premier Draghi a non ricorrere ad un rimpasto di governo, i ministri rimangono al loro posto.
Si è consumata l’implosione del M5S, nato nel 2009 e in continua ascesa fino al picco massimo raggiunto alle elezioni politiche del 2018 quando superò il 32% dei voti. Da lì abbiamo assistito ad una discesa inesorabile dei consensi, certificata prima alle elezioni europee del 2019 (17%) e poi alle ultime amministrative di questi ultimi giorni (sotto il 10%).
Le motivazioni di questa debacle sono tante. Io personalmente credo che ai cittadini abbia dato fastidio essenzialmente l’atteggiamento dei politici pentastellati. Dire delle cose e poi farne delle altre è un tipico comportamento della politica tradizionale. La favola del Movimento 5 stelle è nata proprio dalla critica dei fondatori, quasi estenuante, verso questo modo di fare politica e verso ogni forma di attaccamento alle poltrone del potere. Se col tempo ti comporti in questo modo anche tu, la gravità è maggiore. Vengono meno i principi fondativi.
Si potrebbero fare molti esempi in questo senso, ma mi fermo ad uno. Il M5S era nato essenzialmente per non governare con nessun partito: la politica era marcia e quindi bisognava viaggiare da soli. Va bene. Col tempo ha deciso di allearsi, per poter portare a casa dei risultati importanti. Va bene la prima alleanza, va bene la seconda. Ad un certo punto, però, si è arrivati a governare con chiunque, mostrando un appiattimento sulle decisioni altrui nonostante il M5S fosse la prima forza in Parlamento. La percezione, arrivata pressoché a tutti, è stata, dunque, quella di uno smodato attaccamento alla poltrona.
Tale percezione si riflette irrimediabilmente nelle urne. E non aiuterà un prevedibile smarcamento dal governo durante la discussione delle prossima legge di bilancio, un volersi distinguere da tutti al fine di ottenere dei consensi in vista delle prossime elezioni politiche del 2023. Nel prossimo autunno nessun parlamentare avrà più paura del voto anticipato, i 4 anni e mezzo necessari per l’acquisizione del diritto alla pensione saranno stati ormai raggiunti, per cui si potrà dare il via alle critiche più becere verso il governo. Sono film già visti, purtroppo.
In definitiva ai cittadini, dunque, non è andato giù il comportamento, nel senso più generale, dei pentastellati. Il disastroso reddito di cittadinanza, promesso in un modo (proposte di lavoro ecc.) ed espresso in un altro, ha fatto il resto.
A mio avviso è stato commesso anche un altro errore: il cambio del leader. Il progressivo calo dei consensi ha suggerito ai pentastellati di affidare la leadership all’ex premier Giuseppe Conte, che si era fatto apprezzare nei suoi due mandati da Presidente del Consiglio. Una scelta dettata dalla voglia di risalire nei sondaggi. Non è andata bene. Una cosa è fare il premier, sostenuto da forze eterogenee tenute insieme dalla paura di andare al voto anticipato e che per questo motivo ti concedono tutto facendoti apparire come un premier esemplare, un’altra cosa è fare il capo politico di un partito, in cui bisogna scendere nell’agone politico più crudo e crudele.
Di Maio è un buon politico, apprezzato da Draghi (non uno qualunque) e un ottimo comunicatore. Bisognava continuare con lui e trovare altre soluzioni. Non scordiamoci del fatto che ha rifiutato di fare il premier tra il Conte-uno e il Conte-bis (su proposta di Salvini, che ha ammesso il tutto), rinunciando a diventare il premier più giovane di sempre (record imbattibile a mio avviso). Quanti lo avrebbero fatto?
Concludo con la composizione dell’attuale governo. La Lega è la prima forza del Parlamento e si ritrova solo 3 ministri su 24, il piccolo gruppo formato da Di Maio si ritrova invece un importante ministero e tanti viceministri e sottosegretari, che rendono Insieme per il futuro “sovrarappresentato”. In sostanza sono stravolti tutti gli equilibri. Già l’attuale alleanza di governo è di per sé strampalata, ora è alterata anche la rappresentanza nel governo.
Siamo lontanissimi dalle preferenze espresse dai cittadini nel 2018. La volontà degli italiani conta pochissimo se si pensa a come evolvono gli equilibri successivamente al voto. Si dice da anni che bisogna cambiare la legge elettorale per garantire una maggiore governabilità, eppure nessuna forza politica fa diventare prioritaria questa esigenza. Evidentemente per loro è meglio così, si spartiscono la torta. Nauseante.