
Siamo in piena crisi energetica. La guerra in Ucraina sta avendo effetti devastanti sul prezzo delle bollette, già rincarate a causa della pandemia, e sul prezzo del carburante.
Coldiretti, inoltre, ha rilevato un rialzo delle quotazioni internazionali di grano e mais, con conseguente aumento dei prezzi di prodotti alimentari di largo consumo, tra cui pasta e pane. L’Ucraina, d’altra parte, è considerata il “granaio d’Europa”, e con la Russia (che ha ridotto le proprie esportazioni di grano) garantiscono 1/3 del commercio mondiale. In definitiva sulle famiglie italiane si sta abbattendo una vera e propria stangata.
Il governo è corso ai ripari, venerdi scorso è stato varato il “decreto antirincari” dal Consiglio dei ministri per fronteggiare l’ulteriore aumento delle bollette e dei prezzi di benzina e petrolio.
Ci sarà la possibilità di rateizzare le bollette di luce e gas per le imprese in difficoltà (a partire da quelle che operano nel settore agroalimentare), saranno potenziati i bonus previsti per le famiglie a reddito più basso, arriveranno nuovi sostegni per le aziende che consumano molta energia (energivore, quali quelle che producono vetro, metalli, ceramica, cemento, legno e carta), ci sarà più cassa integrazione per le aziende colpite dai rincari energetici. Le risorse necessarie arriveranno soprattutto dalla tassazione degli extra profitti delle aziende energetiche. La volontà, dunque, è quella di non ricorrere ad uno “scostamento di bilancio” che porterebbe ad un nuovo aumento del debito.
Sul fronte dei carburanti scatterà, invece, la cosiddetta “accisa mobile”: l’aumento dei prezzi determina un aumento del gettito IVA che sarà utilizzato per ridurre le accise (non ci sarà così un calo delle entrate annue), il che dovrebbe fare scendere il prezzo dei carburanti di circa 25 centesimi al litro.
Purtroppo paghiamo tanti anni di scelte sbagliate nel settore energetico, prima fra tutte quella di dipendere, per quasi il 50%, dal gas proveniente da un paese guidato da un leader molto imprevedibile. Il gas è utilizzato per la produzione di elettricità e nel riscaldamento degli edifici di aziende e privati, oltre che in molte cucine. Si tratta di una materia prima fondamentale, in Italia se ne consumano circa 70 miliardi di metri cubi all’anno. Di questi, poco meno di 5 miliardi derivano dalla nostra produzione nazionale, il resto lo importiamo dall’estero (45% Russia, 31% Algeria, 9% Qatar, 10% Azerbaigian, 4 % Libia ecc.).
In realtà il gas è presente anche in Italia, ma non lo estraiamo come si dovrebbe. Sul nostro territorio ci sono circa 1300 pozzi, però solo 750 sono attivi ed eroganti. Quelli più ricchi di gas si trovano nel mare Adriatico settentrionale e centrale. L’Italia non li utilizza, pagando l’idiozia ambientalista degli ultimi 20 anni. Certamente un loro totale utilizzo non risolverebbe il problema della dipendenza, in quanto si arriverebbe a produrre poco meno di 20 miliardi di metri cubi di gas, ma sarebbe comunque una buona quantità che ci renderebbe meno ricattabili.
L’errore tuttavia non è solo il mancato utilizzo dei nostri giacimenti, ma anche la mancata diversificazione delle fonti di energia e dei fornitori. Perché dipendere così tanto da un solo paese? Il gas è presente un po’ in tutto il mondo. In questi giorni di crisi ucraina, invece, l’Europa è costretta a imporre diverse sanzioni alla Russia senza poterle indirizzare verso le esportazioni del gas (Italia e Germania i paesi più dipendenti, 45% e 65% rispettivamente), che paradossalmente paghiamo finanziando la sporca guerra. A questo punto, inoltre, non è detto che sia la stessa Russia a decidere di interrompere la fornitura di gas come ritorsione. Proprio ieri Mosca ha fatto sapere che, con altre sanzioni, potrebbero esserci conseguenze irreversibili per l’Italia.
Ci siamo resi ricattabili, dunque, per un errore a monte, non solo dell’Italia. L’Unione Europea doveva pensarci prima, invece ha fatto poco. Addirittura è stato costruito il Nord Stream2, che mettendo in comunicazione diretta Russia e Germania, avrebbe dovuto portare ancora più gas russo in Europa. Fortunatamente a causa di questa guerra il gasdotto non è stato neanche inaugurato mentre Biden nei giorni scorsi ha affermato che ormai può considerarsi morto, un “grosso pezzo di metallo in fondo al mare”.
Quindi che fare? L’Italia deve farsi trovare pronta difronte ad un eventuale e imminente cessazione delle forniture russe di gas, magari anche utilizzando per un certo periodo le centrali elettriche a carbone, che attualmente sono ferme o in via di dismissione per la questione del surriscaldamento globale. Ci potrebbero essere dei disagi, ma sarebbero affrontabili con minore apprensione grazie al contributo di altri produttori e ad una stagione invernale ormai terminata.
Per il futuro va aumentata la produzione nazionale di gas (senza se e senza ma), vanno diversificate le fonti di approvvigionamento energetico (non dipendendo solo da alcuni paesi, magari poco affidabili), va favorito lo sfruttamento delle fonti rinnovabili di energia: sole, vento, risorse idriche e rifiuti, semplificando le procedure per richiedere e ottenere i permessi necessari per l’installazione di nuovi impianti fotovoltaici, eolici ecc.
Se per il gas si può fare tanto, risulta più difficile fronteggiare la risalita del prezzo del petrolio. L’unica strategia che mi viene in mente è il ricorso, anche in questo caso, al gas e al processo di elettrificazione dell’auto. Me lo fai pagare tanto? Non lo compro, un’alternativa c’è sempre, basta giocare d’anticipo.
In definitiva bisogna avere una politica energetica che ci renda più autonomi e meno ricattabili. Serve più sviluppo, sostenibile certamente, ma che non può essere fermato, altrimenti prima o poi paghi dazio.