In Italia si discute da anni del problema dei tempi lunghi della giustizia e della necessità di ridurli al fine di garantire al cittadino una macchina della giustizia più “giusta”.
La ministra della Giustizia Marta Cartabia si confronta da mesi con le attuali forze di maggioranza per questa sacrosanta riforma del sistema giudiziario, e proprio in settimana è arrivato il via libera del Consiglio dei Ministri alla riforma (con l’approvazione di una serie di emendamenti). Ora la palla passa al Parlamento dove tuttavia il governo spera non ci siano ripensamenti, essendo stato volutamente trovato un accordo in questi giorni con i ministri dei partiti di maggioranza.
La riforma prevede diverse novità finalizzate allo snellimento del sistema giudiziario. Ne cito qualcuna. Al fine di ridurre il numero dei processi, ad esempio, la richiesta di rinvio a giudizio da parte di un pubblico ministero dovrà avvenire sulla base di una “ragionevole previsione di condanna” dell’imputato (non bastano semplicemente elementi che consentono di sostenere l’accusa). Per archiviare le indagini meno solide verranno ridotti anche i tempi concessi ai pm per chiedere il rinvio a giudizio, mentre nel processo civile saranno rinforzati gli istituti della mediazione e della negoziazione assistita, metodi alternativi di risoluzione delle controversie, con l’obiettivo di ridurre il numero dei processi e velocizzare i tempi giudiziari.
Il nodo primario, però, era il superamento della riforma della prescrizione del precedente ministro della Giustizia Bonafede: se prima c’era il blocco della prescrizione nei vari gradi di giudizio, con la nuova riforma rimane lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado per tutti gli imputati (assolti o condannati), ma vengono introdotti tempi fissi per l’Appello e la Cassazione, rispettivamente due anni e un anno, superati i quali scatta l’improcedibilità, il processo cioè non potrà più andare avanti.
Il M5S era inizialmente contrario alle modifiche, ritenendo la prescrizione causa di impunità e del mancato arrivo di diversi processi ad una sentenza definitiva. Si è tuttavia arrivati ad un compromesso: sì alle modifiche in cambio di un’equiparazione dei reati di corruzione e concussione a quelli più gravi (mafia, terrorismo, traffico di droga, violenza sessuale ecc.) per i quali il processo di Appello potrà durare 3 anni (anziché 2) e quello in Cassazione 18 mesi (anziché 12).
Come spesso succede in questi casi tutte le forze politiche, tristemente, dicono di aver vinto e avere portato a casa il risultato. Ma così non è. In realtà abbiamo nuovamente assistiamo al trionfo dell’incoerenza nel nome della poltrona.
Nella stessa legislatura passeranno due riforme della giustizia (con la seconda che sconfessa la prima). I parlamentari sono gli stessi ma le leggi sono diverse: parlamentari e ministri che votano il contrario di quello che avevano votano prima. Pur di non sciogliere le Camere ed andare a elezioni, va bene tutto. Cambiano i governi ma non il Parlamento.
Io personalmente considero questa riforma migliore della prima, che puntava ad eliminare l’impunità senza specificare come impedire le lungaggini processuali: va bene l’assenza di prescrizione (innegabile fallimento della giustizia), ma una persona non può neanche rimanere imputata a vita.
Concludo: velocizzare i tempi dei processi rende giustizia ai cittadini, migliora l’affidabilità del Paese e attrae gli investimenti stranieri in Italia, finora scoraggiati da un sistema troppo farraginoso e lento. Oltre a questi motivi patriottici c’è però da considerare anche gli impegni presi con l’Europa: la riforma della giustizia è un’esplicita richiesta fatta dall’Ue per erogare i finanziamenti del Recovery Fund.
Ripeto quanto detto in passato: se l’Europa deve rappresentare un po’ di pepe al sedere, che ben venga. Ne abbiamo bisogno.