Lascia definitivamente il carcere uno dei boss mafiosi più conosciuti, Giovanni Brusca, fedelissimo di Totò Riina e uno degli autori della strage di Capaci, in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti della scorta.
Chiamato lo “scannacristiani”, Brusca ha commesso e ordinato più di 150 omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido perché figlio di un pentito. Arrestato nel ‘96, da subito ha iniziato a collaborare con la giustizia, svelando diversi segreti di Cosa nostra e ottenendo nel 2000 lo status di collaboratore di giustizia, che gli consentì di lasciare il carcere duro previsto dal 41-bis ed evitare l’ergastolo.
Qualche giorno fa è stato dunque scarcerato per fine pena dopo 25 anni. Nei commenti dei politici, da destra a sinistra, c’è rabbia, indignazione e incredulità: “un pugno nello stomaco”, “una vergogna senza pari”, “un affronto per le vittime”, “non è giustizia”, “inaccettabile”.
Io personalmente trovo questa reazione politica ridicola e ipocrita. Giovanni Brusca è stato scarcerato in funzione di una legge che riguarda i pentiti e che consente ai mafiosi che collaborano con la giustizia di ottenere dei benefici, tra cui gli sconti di pena. Tutti conoscono questo accordo tra Stato e pentiti, figuriamoci coloro che da anni occupano il Parlamento.
La notizia della scarcerazione di Brusca era nota da tempo, attesa da molti anni, e negli ultimi tempi tutti i politici sapevano che era vicino al “fine pena”. Perché indignarsi? Perché non sono state proposte delle modifiche alla legge? Sbraitare per raccattare voti, la musica non cambia. Torniamo alla legge. È giusta?
A mio avviso lo era fino a qualche anno fa. Si tratta di una legge fortemente voluta da tanti magistrati, in primis dallo stesso Falcone. Con essa vengono premiati i pentiti (meglio chiamarli collaboratori della giustizia, chi ci dice che si sarebbero pentiti senza incentivi?) al fine di ottenere grandi vantaggi per lo Stato. All’epoca di Falcone era fondamentale scardinare le attività mafiose, la legge sui pentiti poteva andare bene per contenere un fenomeno che ormai stava sfuggendo di mano, lo Stato era in palese difficoltà. I pentiti erano pochi, le loro confessioni hanno reso possibili arresti, processi e condanne, hanno fatto sfumare attentati e rapimenti.
In definitiva grazie a loro è stato dato un duro colpo alla Mafia, forse il colpo del ko. Il prezzo da pagare è stato rimettere in libertà, dopo tanti anni di carcere (non subito), qualche efferato criminale. Ci poteva stare. Adesso è però giunta l’ora di cambiare la legge. I pentiti sono migliaia, ingolositi, serve un sistema premiale, ma più limitato: ti penti? Carcere meno duro, ma sempre in carcere rimani.
Visto l’alto numero di pentiti lo Stato potrebbe tranquillamente concedere premi meno vantaggiosi. Ti penti per una questione di coscienza o per avere una libertà che moralmente non meriti? Nel secondo caso posso permettermi di non ascoltarti.