
Donald Trump ha sospeso con una mossa a sorpresa, che sa quasi di dietrofront, i dazi reciproci con 75 Paesi che hanno manifestato l’intenzione di negoziare, mantenendo per tutti la tariffa base del 10%.
Esclusa solo la Cina, contro cui scattano dazi del 145% dopo che Pechino aveva annunciato a sua volta tariffe doganali dell’84 % sul made in USA. Due giorni fa la Cina ha risposto nuovamente: controdazi sui beni USA rialzati dall’84 al 125%.
Si tratta di una guerra commerciale che in realtà è iniziata nel 2018 quando Trump, durante la sua prima amministrazione, aveva già posto dei dazi su tantissimi prodotti cinesi, a cui Pechino aveva risposto con controdazi su altri prodotti americani, tra cui la soia, esportata in grande quantità dagli Stati Uniti in Cina.
Adesso la tensione sembra avere raggiunto il punto massimo. La domanda che il mondo si pone, visto l’impatto che questa escalation potrebbe avere, è la seguente: chi si fermerà per primo? Sia Trump che Xi Jinping pensano di potere reggere il confronto meglio dell’avversario.
Per quanto riguarda le esportazioni lo sbilancio è nettamente a favore degli USA: la Cina esporta negli Stati Uniti merci per 450 miliardi di dollari, mentre gli americani inviano in Cina merci per 143 miliardi di euro. Da questa prospettiva la Cina avrebbe molto più da perdere rispetto agli USA. Tuttavia la situazione si rovescia se si considera che una buona percentuale dell’importazione americana dipende proprio dalla Cina.
In definitiva stiamo assistendo ad un’escalation molto pericolosa per l’economia mondiale, che a mio avviso terminerà a breve con un accordo su cui lo stesso Trump si è detto ottimista. Della vicenda resterà un comportamento assurdo del presidente degli Stati Uniti, un mix di arroganza, volgarità e presunzione.
Il suo dietrofront sui dazi è dovuto alla possibile crisi finanziaria di cui non avrebbe potuto negare la propria responsabilità. In particolare si è temuto per il possibile crollo dei bond americani, fondamentali per il rifinanziamento del debito (che è in mano ad Europa, Cina e Giappone). Donald Trump ha invece attribuito il suo ripensamento sui dazi al comportamento degli altri Paesi che a suo dire “mi chiamano e mi leccano il culo” per fare accordi.
In sostanza non perde occasione per insultare noi europei e trattarci con sufficienza. Credo davvero che gli andrebbe data una lezione. Basterebbe una telefonata tra Pechino e Bruxelles per metterlo in mezzo, destabilizzare la finanza pubblica americana e mandare a casa il biondo capriccioso. Macron non aspetta altro. Trump teme questo scenario per cui ha abbassato la cresta con l’Europa per mantenerla alta con la Cina.
Tuttavia gli conviene non tirare troppo la corda con il Dragone, il cui fondo sovrano ha già affermato di avere ampia liquidità per stabilizzare il mercato cinese qualora abbia delle turbolenze.
Quindi attenzione mister “prima ricatto poi tratto”.