Sono state presentate le liste dei candidati alle elezioni europee che si terranno l’8 e il 9 giugno prossimi.
Saranno eletti 74 parlamentari italiani (l’Europarlamento è composto da 705 parlamentari, l’Italia è il terzo gruppo più numeroso dietro a Germania e Francia) con un sistema di voto proporzionale puro, non ci saranno coalizioni e ogni partito correrà da solo, creando una vera e propria competizione tra i partiti stessi.
In sostanza si tratta di un significativo test per tutte le forze politiche. Quasi tutti candidati i leader di partito: Giorgia Meloni, Elly Schlein, Antonio Tajani, Carlo Calenda e Matteo Renzi. Non si candidano Matteo Salvini e Giuseppe Conte.
Le liste hanno fatto molto discutere per una serie di motivi. Innanzitutto la candidatura dei leader: in caso di vittoria nessuno di loro (tranne Matteo Renzi) lascerà l’incarico di Presidente del Consiglio o di parlamentare italiano per andare al Parlamento europeo.
Personalmente lo trovo scorretto. È un modo per attrarre più voti, ma i cittadini non sanno chi li rappresenterà veramente, e quali sono le proposte per migliorare un’Europa sempre più in difficoltà. Si sta parlando di tutto in questi giorni tranne della debolezza dell’Europa nello scenario geopolitico mondiale, dall’America alla Cina, dal Medioriente all’Ucraina.
Siamo l’unico Paese dell’Ue che presenterà alle elezioni europee leader di partito che, candidandosi per un posto che non andranno ad occupare, hanno trasformato le elezioni europee in una sorta di test personale. Si è parlato a tal proposito di truffa agli italiani.
A questo gioco partecipano solo i leader che sanno di essere forti, da qui la scelta di Salvini di non candidarsi: troppo rischioso, sia all’interno della Lega che della coalizione, il confronto con Giorgia Meloni, in piena luna di miele con gli italiani e pronta a ricevere un pieno di consensi, come successe a Matteo Renzi nel 2014 quando vinse con il 40,8%.
Hanno fatto discutere anche altri candidati, quali Ilaria Salis e il generale Roberto Vannacci. La prima è stata candidata da Alleanza Verdi Sinistra, il secondo dalla Lega.
Candidare la maestra elementare a mio avviso è sbagliato. È dispiaciuto a tutti vederla in tv ammanettata mani e piedi e incatenata in un tribunale di Budapest (ILARIA SALIS: UN CASO GIUDIZIARIO E POLITICO.), facciamo bene a indignarci nel rispetto dell’indipendenza della giustizia ungherese, tuttavia chiedere agli italiani di essere rappresentanti in Europa da una persona che partecipava a degli scontri tra estremisti di destra e di sinistra, con il ritrovamento di un manganello in auto, mi sembra comunque fuori luogo, per il rispetto che provo verso le Istituzioni, a prescindere dalle motivazioni della candidatura (sfuggire alla giustizia ungherese?).
La candidatura del generale Vannacci, invece, delle cui idee ed esternazioni si parlerà tanto nelle prossime settimane, è stata fortemente voluta da Matteo Salvini, senza il sostegno dell’intero establishment leghista, che anzi prende quasi le distanze. Dopo il trionfo alle europee del 2019, con il 34% dei voti, Salvini sembra quasi snobbare le elezioni di giugno prossimo (“non avranno la minima influenza sul governo italiano”). In realtà sa di giocarsi molto, più di tutti gli altri leader. Il voto potrebbe certificare la crisi del partito già emersa nelle ultime elezioni locali e prima ancora nelle politiche del 2022.
L’operazione Vannacci, di puro marketing elettorale, dovrebbe servire ad evitare il sorpasso di Forza Italia. La sensazione, infatti, è che se la Lega dovesse finire sotto FI, Salvini rischierebbe seriamente la segreteria del partito.