In settimana è esplosa la protesta nelle piazze di diverse città italiane, tra cui Roma, Milano, Bari e Caserta. Ambulanti e ristoratori hanno protestato contro le chiusure delle loro attività imposte per l’emergenza Covid.
Tafferugli si sono verificati anche davanti a Montecitorio, con scontri in cui sono rimasti feriti due poliziotti. Scene di violenza ovviamente da condannare, ma che esprimono un malcontento di alcune categorie tartassate e che nutrivano aspettative enormi da questo nuovo governo.
La fiducia in un cambio di passo ha ritardato le proteste rispetto agli altri stati europei, dove il malessere sociale è già da tempo sfociato nelle piazze. Ora però alcune categorie, penso ai ristoratori, al mondo delle palestre, delle piscine o dello spettacolo, sono davvero arrivate ad un punto di non ritorno.
I mancati guadagni non consentono loro di pagare i mutui, le bollette, i dipendenti. A questo si aggiunga il vergognoso e paradossale livello record della tassa rifiuti (Tari) raggiunto quest’anno (come ha fatto sapere l’Osservatorio Tasse locali di Confcommercio), nonostante nel 2020 siano state prodotte oltre 5 milioni di tonnellate in meno di rifiuti rispetto al 2019 a causa del blocco delle attività per il Covid.
In questo clima di malcontento i partiti politici anziché fare quadrato e trovare una soluzione (ne hanno la possibilità visto che stanno praticamente tutti a scialacquare nel governo), litigano soffiando sul fuoco della rabbia sociale. La bagarre politica c’entra davvero poco. Perché partiti come la Lega, una parte del M5S e di Leu, e Italia Viva si comportano come forze di lotta quando stanno nel governo? Chi non è d’accordo passi all’opposizione, altrimenti silenzio e pedalare. Ci sono lavoratori ormai al collasso.
Vogliamo fare qualcosa per loro o li sosteniamo per avere qualche voto senza concludere niente nell’immediato? Purtroppo gli annunci e le promesse non rispettate di questi ultimi mesi hanno creato sfiducia e diffidenza. La politica ha fatto male i calcoli e ora ne fa pagare le conseguenze ad alcune categorie. A dicembre, con l’arrivo del vaccino, la convinzione era che, chiudendo, resistendo e vaccinando, la situazione sarebbe cominciata a tornare alla normalità già a partire da marzo. Purtroppo non è andata così, mentre in settimana l’Istat ha rivelato che un’impresa su tre si dichiara dubbiosa se sopravviverà alla pandemia.
Ora più che mai, dunque, bisogna correre ai ripari. Per il mondo del calcio la soluzione è stata trovata, il protocollo ha funzionato. Occorre fare altrettanto per i ristoratori. Vanno creati nuovi protocolli perché, ormai si è capito, per la normalità ancora ce ne vuole. Qualche idea: aprire i ristoranti a cena dove i dati sono da colore giallo, apertura a pranzo nelle zone arancione, aumentare la distanza tra i tavoli, riaprire immediatamente dove si registra un calo dei contagi ecc. insomma bisogna fare qualcosa di concreto. Seneca diceva: non possiamo dirigere il vento, ma possiamo orientare le vele.
Infine mi aspetto maggiore solidarietà sociale anche da parte degli statali stipendiati, spesso troppo frettolosi a liquidare gli autonomi come evasori e quasi meritevoli di questa situazione (avendo dichiarato meno avranno meno sostegno, ma non bisogna generalizzare), tifando in maniera acritica per il lockdown e dimenticando un po’ troppo facilmente che gli stipendi gli arrivano anche (forse soprattutto) grazie alle tasse pagate dalle partite iva. Di questo passo rischieremo tutti, garantiti e abbandonati. Meglio non scordarlo.