Le dichiarazioni dei leader europei in settimana hanno fatto capire al mondo che dopo due anni di guerra in Ucraina i tempi che corrono non sono proprio dei migliori.
Prima è arrivata l’affermazione del presidente francese Macron circa la possibilità, in futuro, di un intervento diretto in Ucraina con l’invio di contingenti militari e operazioni sul terreno, poi ci sono state le dichiarazioni del presidente del Consiglio Ue Charles Michel e dell’Alto rappresentante per la Politica Estera di Bruxelles Josep Borrell “se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra”.
Anche la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen sembra avere abbandonato le posizioni moderate di qualche mese fa. Intervenendo al Parlamento Europeo a Strasburgo ha parlato della guerra in Europa come evento “non impossibile”, per cui bisogna prepararsi attraverso il rifornimento e la modernizzazione delle forze armate degli Stati membri.
Dal Consiglio europeo, infine, è emersa la necessità di preparare i cittadini europei al rischio di guerra in vista di una “futura strategia di prontezza”.
Putin dal canto suo, dopo avere represso la dissidenza, fino alla morte del suo principale oppositore Alexei Navalny, e dopo essere stato rieletto con un voto giudicato come una farsa da Biden e dall’Europa, ha chiaramente parlato della possibilità di utilizzare le armi atomiche se minacciato. L’attentato di due giorni fa in una sala da concerti nei pressi di Mosca, rivendicato dall’Isis e che ha causato la morte di 143 persone, non fa altro che gettare benzina sul fuoco.
In definitiva la tensione sale di parecchio e tutti noi cominciamo a chiederci se davvero la strategia intrapresa dall’Occidente, fatta di sanzioni, di attesa e di forniture di armi all’Ucraina sia stata la migliore.
Inizialmente in molti si erano illusi, ucraini compresi, che potesse arrivare la grande vittoria. Addirittura Macron disse che non era il caso di umiliare più di tanto la Russia.
Col passare dei mesi la percezione è radicalmente cambiata, gli ucraini muoiono, i rifornimenti latitano (mancano soldati, proiettili d’artiglieria e missili a lungo raggio: la contraerea ucraina riesce a intercettare solo un missile su cinque), Biden ha difficoltà a continuare la politica degli aiuti militari ad ogni costo, osteggiato da una parte dell’opinione pubblica e con le elezioni di novembre all’orizzonte (c’è chi ipotizza che i negoziati, invocati anche dal Papa, cominceranno solo dopo un’eventuale vittoria di Donald Trump) e la Russia non appare più di tanto in affanno, godendo, tra l’altro, dell’inquietante sostegno degli altri leader autoritari (la Corea del Nord consegna munizioni alla Russia, l’Iran fornisce droni d’attacco e tecnologia).
In questi giorni l’Occidente sta cercando di aggredire economicamente la Russia attraverso l’imposizione di dazi sui cereali russi, e sta elaborando una strategia per aiutare militarmente l’Ucraina proteggendo le economie nazionali: sfruttare gli interessi maturati sui conti correnti degli oligarchi russi bloccati dalle sanzioni per sostenere gli sforzi militari dell’Ucraina.
Le stiamo provando tutte e forse è giusto così. O forse no, visto che in Ucraina muoiono persone tutti i giorni in attesa di una vittoria quasi impossibile sul campo. Tuttavia, se vogliamo andare avanti così, bisogna pur rendersi conto che tra un po’ mancheranno anche gli uomini in Ucraina, non solo le armi. Che si farà a quel punto? Inviamo militari e ci becchiamo l’atomica?
Putin sembra l’indiano che aspetta sulla riva del fiume, il suo unico vero obiettivo è dimostrare al mondo il fallimento della strategia occidentale, e se Macron disse di non voler umiliare la Russia, il leader del Cremlino ha proprio questo obiettivo: umiliare l’Occidente.