Questo governo potrebbe durare davvero a lungo, con possibilità di un record di presenze a Palazzo Chigi da parte dell’attuale premier Giorgia Meloni. I motivi sono essenzialmente due: i numeri in Parlamento e un’opposizione (per ora) inerme, priva di idee, litigiosa e focalizzata su un inutile e improduttivo antifascismo.
Ad oggi solo un’implosione della coalizione di maggioranza, com’è spesso accaduto in passato, potrebbe creare una crisi di questo esecutivo che viaggia spedito e senza intoppi.
In settimana le divisioni sulle candidature alle prossime elezioni regionali in Sardegna hanno rischiato, non dico di spaccare, ma di creare forte tensioni tra gli alleati del centrodestra.
Il prossimo 25 febbraio, infatti, si voterà in Sardegna per eleggere il nuovo presidente della Regione. La Lega ha puntato sulla ricandidatura del presidente uscente Solinas, leader del Partito sardo d’Azione, affiliato alla Lega e con giunta leghista. Giorgia Meloni, invece, ha spinto fin dall’inizio per la candidatura di Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari ed esponente di Fratelli d’Italia.
Le inchieste giudiziarie che coinvolgono Solinas, a processo per abuso d’ufficio e indagato da quasi un anno per corruzione, e soprattutto gli ulteriori sviluppi di questa settimana, con il sequestro di beni per 350mila euro, hanno convinto la Lega a cedere sulle elezioni in Sardegna, per cui appoggerà come candidato Paolo Truzzu di Fratelli d’Italia (Solinas nel frattempo ha ritirato la propria candidatura).
Le divisioni sono tuttavia destinate a continuare per tutto il 2024, anno in cui si voterà in altre quattro regioni: Basilicata, Abruzzo, Piemonte e Umbria. La Lega, dopo la batosta sarda, ha già fatto capire di volere proporre in Basilicata un proprio candidato al posto dell’uscente Vito Bardi di Forza Italia. Ma il leader forzista Antonio Tajani ha posto il veto, spingendo per la ricandidatura dello stesso Bardi. Vedremo.
Per quanto riguarda Solinas, l’inchiesta per corruzione c’è e va considerata, ma gli sviluppi della vicenda giudiziaria proprio nella settimana della scelta del candidato fanno rievocare il tema della giustizia ad orologeria. Il tempismo della magistratura potrebbe far pensare ad una sua stucchevole influenza nella scelta dei candidati a tutti i livelli, che probabilmente non c’è. Personalmente spererei in un riforma con cui i candidati, obbligatoriamente scelti con almeno 3 mesi di anticipo, godrebbero di una sorta di scudo giudiziario nelle settimane precedenti alle elezioni. Verrebbe meno il dubbio su candidature e scelte politiche dettate dalla magistratura.
Tornando alle Regionali, a mio avviso la premier Giorgia Meloni fa bene a pretendere un maggior numero di governatori regionali, mi meraviglia invece il comportamento degli alleati. Fratelli d’Italia alle elezioni politiche del 2022 era stato il primo partito in quasi tutta Italia, attualmente nei sondaggi è al 30%, e governa solo in tre regioni (Lazio Marche e Abruzzo), mentre la Lega e Forza Italia ne vantano 5 ciascuna, tra cui regioni di peso quali Veneto, Lombardia, Piemonte e Sicilia.
Alla luce dei nuovi pesi dei partiti all’interno della coalizione trovo giustissimo un riequilibrio anche a livello territoriale.
Come succede nella vita, anche in politica i secondi devono accettare di fare i secondi, comunque godono anche loro di una squadra forte e coesa, e se saranno bravi arriverà il loro turno.
Forza Italia e Lega devono riconoscere il cambio dei poteri nella coalizione, ammettendo la superiorità di Fratelli d’Italia. D’altronde attualmente i governatori di destra sono quasi tutti leghisti e forzisti perché in passato i loro partiti avevano un seguito maggiore, sarebbe da vigliacchi adesso pretendere tanto e ricattare il governo sulla tenuta dell’esecutivo.
Poi diciamola tutta, Lega e Forza Italia insieme hanno poco più della metà dei consensi del Partito democratico, eppure i loro leader stanno sempre lì a menare il torrone, grazie soprattutto a Giorgia Meloni. A Roma, città della premier, direbbero: e daje.