Dubai è stata la sede della 28esima Conferenza della Nazioni Unite sul clima, la cosiddetta COP28. È una conferenza che riunisce 196 Paesi, si tiene una volta all’anno e mira a contrastare il cambiamento climatico.
Nel documento finale è stato raggiunto un accordo sulla necessità di allontanarsi gradualmente dai combustibili fossili (carbone, gas e petrolio), che utilizzati quali fonti di energia causano l’emissione di gas serra, a loro volta responsabili del riscaldamento globale.
Nel testo si ripropone la necessità di raggiungere entro il 2050 la neutralità carbonica: emissioni nette zero. In sostanza si dovranno emettere gas serra (Co2 o altro) nella stessa misura in cui vengono sottratti dall’atmosfera, non oltre. Solo così si potrebbe sperare di non fare aumentare la temperatura media globale di oltre 1.5 gradi entro fine secolo, vero obiettivo di queste conferenze.
In verità è un obiettivo difficilmente raggiungibile, tuttavia anche aumenti di 2 gradi sarebbero ben accetti, se si pensa che fino a qualche anno fa gli scienziati temevano un aumento della temperatura di 4-5 gradi, con conseguente maggiore frequenza di fenomeni meteorologici devastanti, dalle piogge torrenziali alla siccità.
L’accordo è stato un successo, almeno nella terminologia, perché per la prima volta vengono citati l’uso di tutti i combustibili fossili quale causa del riscaldamento globale e la necessità di uscirne, sia pure in maniera progressiva. Sicuramente non ci si aspettava che accadesse proprio a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, un paese tra i più grandi produttori di petrolio.
Significativa, inoltre, la convergenza di vedute tra due paesi divisi su tutto, USA e Cina: è stata la loro pressione a rendere possibile l’accordo.
Importante, infine, l’accelerata sul nucleare e l’invito a triplicare la produzione di energia da fonti rinnovabili (luce solare, acqua, vento ecc.) entro il 2030.
Il rovescio della medaglia è che l’intesa sembri quasi formale, lasciando ampio spazio alla discrezionalità. Chi controlla questi impegni? Quali sanzioni? Il timore è che si tratti di impegni destinati a rimanere solo sulla carta.
Il riscaldamento globale ad oggi rappresenta la più grande minaccia per l’umanità, siamo davvero sicuri che una conferenza internazionale annuale, che non agisce in modo diretto nei diversi paesi, possa rappresentare uno strumento sufficiente ad affrontare il problema?
L’edizione di quest’anno, a Dubai, ha ospitato circa 100 mila persone, e si è calcolato che gli aerei che le hanno trasportate abbiano rilasciato 400 mila tonnellate di anidride carbonica. Vista la concretezza dei risultati forse bastava una videoconferenza su una piattaforma del web.
Il prossimo anno la COP si terrà in Azerbaigian, un importante paese esportatore di combustibili fossili (specialmente di gas dopo l’inizio della guerra in Ucraina), con più determinazione potrebbe essere l’occasione per mettere una pietra sopra l’era del fossile.