Nuovo scontro tra Governo e magistratura: il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro è stato rinviato a giudizio per rivelazione di segreto d’ufficio.
A gennaio scorso il deputato di FdI Giovanni Donzelli accusò in Aula quattro dirigenti del Pd di essere andati in carcere a visitare l’anarchico Cospito durante il suo sciopero della fame contro il 41bis (IL CASO COSPITO, IL 41BIS E LE POLEMICHE POLITICHE.). In quell’occasione Donzelli parlò anche di intercettazioni tra l’anarchico e alcuni detenuti per mafia, rivelando di avere appreso le informazioni proprio dal sottosegretario Delmastro, che confermò.
In questa settimana è arrivato il rinvio a giudizio, che da molti è stato giudicato “inconsueto”: dopo la denuncia del leader dei Verdi Angelo Bonelli la procura aveva aperto un’inchiesta nei confronti di Delmastro, ma il PM ne chiese l’archiviazione perché, anche se il documento era riservato (diffusione vietata), il sottosegretario non ne sarebbe stato consapevole.
Nel luglio scorso il GIP ha imposto l’imputazione coatta del sottosegretario ritenendolo responsabile del reato perché, come penalista e sottosegretario, non poteva ignorare la riservatezza del documento. Con tale provvedimento, dunque, non molto comune, il GIP ha imposto alla procura di rinviare a giudizio Dalmastro.
Questa imposizione, che ha rafforzato nella maggioranza di governo la convinzione che le toghe rosse esistano, è arrivata in una fase di tensione tra esecutivo e magistratura, scatenata delle dichiarazioni, ad inizio settimana, del ministro della Difesa Guido Crosetto, che aveva parlato del pericolo di un’opposizione giudiziaria e di gruppi di magistrati ostili al governo.
In sostanza due poteri della Repubblica, quello esecutivo e quello giudiziario, non riescono ad avere un rapporto sano, e trovano sempre nuove occasioni per andare allo scontro.
Altro motivo di contrasto sarà la riforma della Giustizia che prende il nome dell’attuale ministro, Nordio, già approvata in Cdm e ora al Senato: abroga il reato di abuso d’ufficio, vieta la pubblicazione di alcune tipologie di intercettazioni, vuole introdurre i test psicoattitudinali per l’ingresso in magistratura e rafforzare la valutazione professionale delle toghe (le cosiddette pagelle).
Il ritornello è sempre lo stesso: c’è una parte della magistratura che lotta contro il governo di destra? È diventato ormai un luogo comune, però sicuramente la storia recente ha indotto il 57% degli italiani a vedere fini politici nell’operato dei magistrati.
Basti pensare allo scandalo Palamara (accusato di avere condizionato l’attività del Csm per le nomine dei procuratori di Roma e Perugia), e al contenuto di alcune chat, da cui si è scoperto che addirittura un magistrato diceva all’altro che Salvini era innocente ma bisognava attaccarlo (sulla questione migranti in Sicilia).
Non si saprà mai se esiste davvero una parte di magistratura politicizzata, certamente se venisse tolta ai magistrati la possibilità di diventare politici ci sarebbe più imparzialità.
La stessa possibilità andrebbe negata ai sindacalisti, che spesso dalle piazze ce li ritroviamo in Parlamento. Non a caso in questi giorni si parla di Landini (segretario generale della CGIL) come possibile federatore delle opposizioni, una figura alla Romano Prodi, che unisca gli avversari di Giorgia Meloni.
Se un magistrato o un sindacalista ha ambizioni politiche, il suo lavoro sarà inevitabilmente condizionato da questa personale aspirazione. E la sua azione viene messa ancora più in evidenza in questo momento storico di opposizione parlamentare debole e sterile, negli atteggiamenti e nelle proposte, con leader che non cercano il confronto (anche televisivo) con i governanti, anzi lo rifiutano (normalmente chi sta sotto vuole la sfida per risalire nei consensi). Chi volesse fare politica, dunque, togato o sindacalista, troverebbe terreno fertile.